“Honing ripercorre idealmente la storia europea attraverso la Germania come simbolo in termini di scrittori, filosofi, compositori e pittori, ma anche per la resilienza che la Germania sta da tempo manifestando”.
// di Francesco Cataldo Verrina //
I seguaci del verbo di Jan Garbarek e Tord Gustavsen troveranno un ambiente assai familiare nell’impianto formale di questo disco. A scanso di equivoci, però, diciamo che lo spettro creativo è assai più ampio e dilatato e le sorgenti ispirative sono di ben altra sostanza. In verità Yuri Honing, che al primo impatto sembra Massimo Moratti, ex-presidente dell’Inter, tenta un raccordo tra Wagner, Strauss e Coltrane, ma la visione del mondo dei suoni sono tutte di proprietà del sassofonista olandese, la cui personalità artistica è alquanto marcata, tanto da delineare un suo perimetro espressivo fatto di pace, serenità, tensione e misticismo, ispirato all’amore per la musica classica, la storia e l’arte.
“Goldbrun” si sostanzia come un’opera totale, quale risultato di influenze molteplici, dove il tema centrale ed il motivo ispiratore diventano l’Europa e l’integrazione. In un’epoca in cui molti non sempre riconoscono il valore del vecchio continente, soprattutto i 70 anni di pace che l’unità dei popoli è riuscita a garantire, facendo appello all’orgoglio degli Europei ed al DNA culturale del nostro continente. Il sassofonista appare particolarmente ispirato dalla musica di Richard Wagner e di Richard Strauss. I due filoni compositivi vengono elaborati, in particolare, nella traccia 4, “Goldbrun IV”.
L’album è strutturato come una lunga suite in sette parti, distribuita senza soluzione di continuità su entrambe le facciate del disco. Lo stesso Honing lo descrive come una sfera che si allarga in maniera concentrica, partendo da un nucleo centrale: “Quando compongo, inizio un punto focale e da lì mi faccio strada verso i margini, proprio come le strutture armoniche che partono dal centro e si espandono. Goldbrun è una struttura sferica” Lo stesso titolo dell’album, “Goldbrun”, è un neologismo, quasi un non-sense, che dovrebbe significare più o meno, placcatura, ma per Honing, descrive il modulo compositivo non lineare dell’album, ispirato ad alcuni tratti di “Lush Life” di Coltrane, dove i temi armonici s’intrecciano in un’entità maggiore, caratterizzata dagli intervalli del tema centrale che sono minori.
Il pianista Wolfert Brederode, il bassista Gulli Gudmundsson e il batterista Joost Lijbaart offrono, quasi in punta di piedi, suggerimenti che guidano le linee del sax, come l’impulso del basso che spinge sul tema onirico e suadente della “Parte I”; in particolare il piano di Brederode diventa l’ombra del suono profondo e sussurrato di Honing, specie nella “Parte II” con qualche lieve zampata di swing e nella “Parte IV” ispirata a Wagner e Strauss. Il segreto di Yuri Honing va ricercato in questa sua convinzione: “L’esperienza significa che puoi fare di più con meno”. Yuri Honing, oggi 57 anni, ha lavorato con due grandi pianisti jazz: Misha Mengelberg e Paul Bley. Il sassofonista olandese ha esplorato le musiche di Schubert, traendo ispirazione da ballerini e cantanti pop, dalla storia politica e dall’arte visiva. Dunque, anche laddove sembrerebbe che Honing stia apportando solo una mano di colore a delle tavolozze già esistenti, la sua musica zampilla attraverso un’evidente originalità ed una malcelata spontaneità.
