// di Marcello Marinelli //
Sono di fronte alle casse acustiche che ascolto Keith Jarrett che stava di fronte idealmente, mentre eseguiva questi brani, alla sua amata e a suo figlio, appena nato a cui probabilmente il disco è dedicato, oltre al brano in particolare “My lady my child” che apre il lato B del disco. Questo essere “di fronte” è ricorrente nel disco che si apre proprio con un altro modo di dire la stessa cosa ‘in front’. Correva l’anno 1971 e Keith Jarrett era nel gruppo di Miles Davis , allora il gruppo elettrico di Miles.
In una pausa della tournèe europea del grande trombettista venne convocato da Manfred Heicher, allora giovane produttore all’inizio della sua avventura ECM, negli studi di Oslo. Nel momento massimo del successo dei suoni elettrici di quel periodo Keith Jarrett incide il suo primo disco solo di pianoforte acustico; non è soltanto il tripudio del piano acustico, è l’apoteosi, è l’ottovolante, è la magniloquenza del piano acustico che il pianista sprigiona in tutta la sua vigoria, in maniera particolare, nel primo brano ‘In front’ . In questo brano il virtuosismo del Nostro esplode in tutto il suo fragore, sembra la dea Kali perché le mani non sembrano due ma una decina, mano vince mano perde, (pezzo a dieci mani) è un gioco di prestigio e il sound che esce dal cilindro del suo piano acustico è un frullatore di stili e di rimandi, il suo background, un caleidoscopio di ‘influenze’ che rendono ‘febbrile’ il suo groove che copre l’intera storia del pianoforte. Tradizione colta, romanticismo, espressionismo, ragtime, blues,soul, boogie woogie, be bop e un pizzico di prezzemolo, mix di spezie e di odori vari che rendono il tutto appetitoso e gustoso.
Come, non avete udito tutte queste influenze e sfumature? Allora vuol dire che me le sono inventate o le conseguenze dell’uso prolungato di droghe leggere. Il classico piano ‘pieno’, in contrasto col piano ‘vuoto’ dei pezzi seguenti del disco. In questa orgia di suoni e di accordi mancano solo i fuochi d’artificio e i coriandoli e tutte le sette ottave del pianoforte concorrono a questo bagno di note e di tasti in bianco e nero. Dopo questo inizio al ‘fulmicotone’ la facciata A segue con ‘Ritooria’, (amo questo pezzo) e qui il clima si fa più rilassato, intimista, mistico e le traiettorie del brano procedono a zig e zag. Non c’è il classico ‘swing’ tradizionale, è lo ‘swing’ di Keith Jarrett ed è il suo tratto distintivo che si riconosce immediatamente tra una moltitudine di pianisti. Il suo’ swing’ è unico e inconfondibile e quei grappoli di note improvvise che spara all’improvviso squarciano la tranquillità apparente.

Certo può non piacere questo stile improvvisativo come qualunque altro stile, ma non si può obbiettare l’originalità. I suoi gridolini cominciano a fare capolino molto discretamente. ‘Lalene’ chiude il lato A, una bellissima linea melodica, una bella canzone senza parole, ma il clima è da canzone; che belle le canzoni quando diventano arte e quando l’abilità improvvisativa e l’ispirazione che le sorreggono diventano bellezza allo stato puro. La bellezza poi può essere colta o no, c’è chi la vede e chi no, ma questo è un altro discorso e riguarda tutto lo scibile umano e tutto è lecito, anche non cogliere la bellezza, ognuno coglie la bellezza che gli pare.
Il lato B si apre con ‘My lady, my child’ che è il suo canto d’amore in musica verso la sua famiglia, per chi può riconoscerlo, ma siamo nel campo dell’insondabile e qualcuno potrebbe non scorgere questo canto d’amore e allora rimane un brano che riflette gli umori del pianista sulla tastiera come gli altri, fatto di armonizzazioni audaci e fughe improvvise. In ’Landascape for future earth’ la vena melodica si mantiene costante verso l’altro e frammenti di ‘vocine’ all’unisono con la melodia appaiano come gli arcobaleni, rapide e fugaci. ‘Starbright’ è il brano più lineare se si può parlare di linearità nella musica di Keith Jarrett e si snoda nei classici contorni della tradizione del pianismo jazz e i ‘sospiri’ e le’ vocine’ sporadiche fanno da contorno al suo girovagare creativo improvvisato; quando l’improvvisazione è tutto fuorché approssimativa e imperfetta.
‘Vapallia’ è il brano più intimista e tranquillo, anche se ‘tranquillo’ ha fatto una brutta fine, come si dice a Roma, ma corro il rischio di usare questo vocabolo in contesto musicale, un breve abbozzo di tre minuti e mezzo di dita pigiate su tasti bilanciati, scelti secondo una logica ferrea e libera allo stesso tempo. ‘Semblence’ chiude il disco; ‘Semblence’ (apparenza). Apparenza? Lo stile di Keith Jarrett è apparenza o sostanza? Sostanza allo stato puro? No, non può essere, solo in chimica esistono le sostanze allo stato puro dimostrabili, qui ci troviamo troviamo davanti all’incorporeità delle note musicali, quindi si va avanti per ipotesi. La mia ipotesi è che sia sostanza allo stato puro, ma il mio è un atto di fede e agli di fede non si comanda e, con questo dubbio amletico, mi congedo da queste parole in libera uscita su questo disco. ‘pieno’, in contrasto col piano ‘vuoto’ dei pezzi seguenti del disco. In questa orgia di suoni e di accordi mancano solo i fuochi d’artificio e i coriandoli e tutte le sette ottave del pianoforte concorrono a questo bagno di note e di tasti in bianco e nero.
Dopo questo inizio al ‘fulmicotone’ la facciata A segue con ‘Ritooria’, (amo questo pezzo) e qui il clima si fa più rilassato, intimista, mistico e le traiettorie del brano procedono a zig e zag. Non c’è il classico ‘swing’ tradizionale, è lo ‘swing’ di Keith Jarrett ed è il suo tratto distintivo che si riconosce immediatamente tra una moltitudine di pianisti. Il suo’ swing’ è unico e inconfondibile e quei grappoli di note improvvise che spara all’improvviso squarciano la tranquillità apparente. Certo può non piacere questo stile improvvisativo come qualunque altro stile, ma non si può obbiettare l’originalità. I suoi gridolini cominciano a fare capolino molto discretamente. ‘Lalene’ chiude il lato A, una bellissima linea melodica, una bella canzone senza parole, ma il clima è da canzone; che belle le canzoni quando diventano arte e quando l’abilità improvvisativa e l’ispirazione che le sorreggono diventano bellezza allo stato puro. La bellezza poi può essere colta o no, c’è chi la vede e chi no, ma questo è un altro discorso e riguarda tutto lo scibile umano e tutto è lecito, anche non cogliere la bellezza, ognuno coglie la bellezza che gli pare.
Il lato B si apre con ‘My lady, my child’ che è il suo canto d’amore in musica verso la sua famiglia, per chi può riconoscerlo, ma siamo nel campo dell’insondabile e qualcuno potrebbe non scorgere questo canto d’amore e allora rimane un brano che riflette gli umori del pianista sulla tastiera come gli altri, fatto di armonizzazioni audaci e fughe improvvise. In ’Landascape for future earth’ la vena melodica si mantiene costante verso l’altro e frammenti di ‘vocine’ all’unisono con la melodia appaiano come gli arcobaleni, rapide e fugaci. ‘Starbright’ è il brano più lineare se si può parlare di linearità nella musica di Keith Jarrett e si snoda nei classici contorni della tradizione del pianismo jazz e i ‘sospiri’ e le’ vocine’ sporadiche fanno da contorno al suo girovagare creativo improvvisato; quando l’improvvisazione è tutto fuorché approssimativa e imperfetta. La mia ipotesi è che sia sostanza allo stato puro, ma il mio è un atto di fede e agli di fede non si comanda e, con questo dubbio amletico, mi congedo da queste parole in libera uscita su questo disco.