// di Francesco Cataldo Verrina //
Markelian Kapedani è l’eccelso maestro di cerimonia del progetto EUPHONIA JAZZ GROUP, quale naturale sviluppo ed evoluzione del precedente Euphonia Jazz Ensemble. Pianista di riconosciuto talento con un background classico, ma da sempre incubatore di sonorità provenienti da ogni dove, Kapedani tende costantemente alla ricerca di quell’elemento multirazziale ed unificatore delle varie musiche del mondo, in un crogiolo di suoni meticci, autoctoni, etnici, sedimenti di culture ancestrali, dove la tradizione dei Balcani e dell’Est europeo si uniscono al Brasile, passando attraverso i variegati ritmi afro-caraibici e le strutture melodico-armoniche del bop e del swing.
Tutte le componenti musicali e canore sviluppate nel disco, pur nella loro apparente diversità, non sono frazionabili o separabili, ma risultano legate da una sorta di causa-effetto, da un evidente sviluppo con conseguenzialità narrativa e da un particolare marchio di fabbrica: tutti i brani eseguiti recano in calce la firma del pianista leader, ad accezione di alcuni componimenti scritti in tandem con Yama Kapedani Luberti. «Ahí Na’ Ma’» contiene in massima parte materiale proveniente da precedenti lavori del pianista/compositore albanese, anche se i temi sono stati rielaborati per l’occasione, quindi riproposti in una veste e in una dimensione completamente nuova, ad eccezione di «Alladin Blue», composto appositamente per questa sessione.

Il risultato è un concept dalle sonorità avvolgenti, dispiegate come in una descrizione romanzesca o cinematografica, attraverso un percorso esplorativo in crescendo ed un plot narrativo che potrebbe raccontare la storia di un viaggio ideale, o l’esplorazione di universi esotici, terre di confine, popoli sconosciuti vicini e lontani. La fantasia del fruitore viene continuamente sollecitata, senza che nessuno possa perdere la bussola, mentre il gruppo, intrecciando i fili di una musica dai tratti ecumenici, disegna arazzi sonori ammantati da un lussureggiante lirismo.
La rotta musicale tracciata è ben precisa, i temi, i canti e i movimenti appaiono ispirati e concatenati dallo medesimo humus compositivo ed impregnati nelle stesse sostanze sonore, in cui tutto è omogeneo nella struttura, nel contenuto e si equivale per forza espressiva e temperamento letterario, mentre le melodie, le armonie e le poliritmie si muovono trascinate da una leggiadra sensualità e da un delicato senso poetico che, a volte, è musica, altre è canto. Non è difficile trovare, ad esempio, quel fil-rouge che unisce «Balkan Tumbao», scaturito da un ballo nuziale albanese e l’atmosfera di festa che si respira in «Brasil, Terra Do Samba», piuttosto che nel swingante incedere di «Bop Drops», o in «Mongo Santamaria» che collega perfettamente la clave cubana a quella presente nella musica balcanica; la stessa linea di demarcazione che congiunge gli umori e sentori della musica popolare russa di «Davaj» all’antica tradizione greco-albanese di «Ti je Zembra Ime», passando attraverso le flessuose movenze di una danza indiana come «Song For Padma».
Euphonia Jazz Group, pur avendo in Markelian Kapedani il suo spirito guida e il suo demiurgo, si sostanzia anche grazie all’apporto vitale e la linfa creativa di un eccellente gruppo di musicisti e cantanti di vaglia: al basso Davide Liberti, alla batteria Gaetano Fasano e al canto Mary Gautschi soprano, Yama Kapidani Luberti alto, Francesco Nasone tenore, Lorenzo Sansoni baritono, a cui sia aggiunge il sassofonista Max Pizio per una splendida guest in «Alladin Blue», che si caratterizza come uno dei momenti più impattanti e magnetici dell’album, avviluppando l’ascoltatore in una maliarda e seducente atmosfera arabesca da mille e una notte.
Parliamo di un progetto multiforme, caleidoscopico, un technicolor creativo, capace di calamitare sonorità, armonie e melodie provenienti da ogni angolo del Pianeta Terra, per poi filtrarle attraverso il linguaggio articolato dell’improvvisazione e la sintassi basilare di un jazz che guarda oltre il suo tradizionale angolo visuale, ma che oltrepassa perfino il concetto di latin-jazz o di ethno-jazz. Il disco, grazie a questa magica pozione sonora, riesce a plasmare o assecondare numerose esigenze fisiche e spirituali dell’essere umano, ossia far ballare, sognare, pensare, viaggiare e scoprire, attraverso una facile chiave di lettura che apre al diverso ed al simile al contempo, che unisce popoli e culture, che guarda all’altro generalizzato o ad un altrove ideale, usando un esperanto fatto di note e di accordi ed un linguaggio comune comprensibile alla moltitudine. Registrato allo Studio Elfo di Tavernago (PC) e pubblicato dalla Sonitus, l’album è diventato parte del patrimonio sonoro svizzero ed è stato inserito nel catalogo della Fonoteca Nazionale come «importante opera New Jazz» per la cultura del paese transalpino.
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