“La polizia cerca tracce di jazz in questo disco e le trova dopo le risultanze degli esami autoptici. Tutto molto irregolare… e non certificabile in maniera scientifica”.
// di Marcello Marinelli //
Tempi duri, difficili e non c’è niente di meglio di un disco di musica nera, intriso di tutte le ramificazioni da cui nasce la gloriosa tradizione della Black Music che rappresentano, meglio di ogni altro, il suono della contemporaneità. Non è un disco di musica jazz, ma un disco di musica nera che comprende, nei suoi innumerevoli rivoli, la storia della musica nera. Il rapporto col jazz? Robert Glasper, pianista di Houston, produttore, instancabile organizzatore di suoni, soul, jazz, rap, funk è, tra le altre cose, a capo di un magnifico trio jazz (100%), con Vicente Archer al contrabbasso Damion Reid alla batteria, e la collaborazione con Herbie Hancock, non nuovo a collaborazioni ibride, presente in questo disco.
Se non vi bastassero queste credenziali aggiungo che un disco come questo, non sarebbe nato se non ci fosse nel background una solida preparazione jazz. Potrebbe però essere considerato per niente jazz, ma io lo sento, lo avverto anche se non nelle sue peculiarità storiche, ma non è un disco jazz, ne è intriso, ma non è un disco jazz, ma senza jazz, questo disco non avrebbe visto la luce. Apparente contraddizione per la mania che abbiamo di incasellare in recenti rigidi quello che non si può recintare. Probabilmente per niente jazz per alcuni, troppo poco soul o rap per altri, il destino del ‘meticciato’ culturale, qui in ambito totalmente ‘nero’ che più ‘nero’ non si può, un bianco non avrebbe potuto concepirlo, ma non per incapacità o per limiti razziali, ma perché un bianco non avrebbe potuto riassumere un concentrato di storia così imponente e importante in un disco, diciamo per limiti culturali identitari.

L’ultima grande rivoluzione nell’ambito della musica nera, e della musica in generale, è stato l’Hip Hop, con la variante Trap, degli ultimi anni. Il rap a molta distanza dal suo inizio ancora gode di ottima salute e questo disco inizia con una base scarna, con Chris Dave alla batteria e Derrick Hodge al basso elettrico e il leader alle tastiere e il rap di Affion Crockett, atmosfere moderne o futuriste, con beat ipnotico e sonorità post apocalittiche. ‘This changes everthing’ il secondo brano è un bellissimo rap più tradizionale con l’arrangiamento di Glasper che evidenzia la sua conoscenza del jazz nei suoi ricami finali prima del mix col brano successivo, è un grande affresco musicale senza soluzioni di continuità.
Come non scorgete nessun accenno di jazz, neanche un riff o un vago sentore? Tranquilli raga tutto a posto, non è obbligatorio. Buddy, Denzel Curry, Terence Martin, altro esponente di punta della new school, e James Poyser, dei Roots, compagni di questo brano. ‘Gone’ inizia con un bellissimo beat, che non potrei descrivere in quanto ad originalità con cori che vengono da un pianeta sconosciuto, con YBN Cordae e Bilal ai rap e il nostro beneamato Herbie Hancock che si produce in un breve assolo, e non poteva che essere questo il brano, un brano futurista e Herbie di futuro ne ha sempre capito qualcosa. ‘Let me in’ contiene delle tracce , delle reminiscenze, delle allusioni vaghe al jazz? Si lo sento, sono un medium e lo dico con cognizione di causa, Mick Jankins al rap, l’intervento al piano è un ostinato che si ripete incessantemente con scratches e suoni indistinti nel sottofondo, le voci continuano e il piano di Robert Glasper continua, con ‘In case you forgot’ il suo tappeto sonoro, accompagnato sempre dalla sua fida ritmica, precisa ed incessante, un breve interludio strumentale prima di un cambio repentino di ritmica.
Un altro pezzo strumentale, tutto unito senza spazi vuoti. ‘Indulging in such’ in trio, quasi un drum and bass con le tastiere del leader che prendono un assolo jazz(?) , si un assolo jazz con ritmica iper-funk, con un dj non meglio identificato, che ‘screccia da paura’, quasi un free funk. Sono praticamente sull’ottovolante della musica jazz, al luna park dei suoni neri e ho anche un po’ le vertigini. ‘Fuck feelings’ altro pezzo cantato da una voce, in questo caso bianca, quella di Yebba, che non è proprio una cantante soul bianca, ma qui il leader la usa alla perfezione tirando fuori la sua anima soul, che altrove (la sono andata a sentire nei suoi lavori in proprio) non si evidenzia, perché i suoi interessi musicali divergono, almeno così a me sembra, ma qui è perfetta per questa breve canzone, che più ‘soul de così se more’, praticamente una perla bianca incastonata nel nero musicale.
Si continua con la musica soul di spessore senza indulgere nei prodotti preconfezionati ‘Endangered black woman’ con la bella voce di Andra Day (la cantante e attrice che ha interpretato Billie Holiday nel film United States vs Billie Holiday) che canta soul con il trio del leader che accompagna senza perdere un colpo le voci che si susseguono, quasi fosse una conferenza musicale e la voce che segue nel brano, quella di Staceyann Chinn, uno ‘spoken-word-poetry’, attivista dei diritti civili LGTB, sembra un discorso alle Nazioni Unite, per l’intensità e il trasporto del suo esporre, peccato che non ho il suo discorso tradotto. Si continua con la bellezza della musica soul con le bellissime voci di Baby Rose, di Rapsody in ‘Expectations’ , che mi commuovono, e il mondo ha, forse, ancora un futuro. La parentesi soul continua con ‘All I do’ con le voci sensuali di Sir e Bridget Kelly e ‘Aah whoa’ con le voci di Muhsinah e Queen Sheba.
Questo disco praticamente è un’enciclopedia della moderna musica nera. ‘I want you’ conclude la parentesi soul del disco. Con ‘Trade in bars yo’ si ritorna a alla sperimentazione sonora con il secondo intervento di Herbie Hancock che suona jazz, brano cortissimo, quasi un nuovo interludio, accenni e schizzi di futuro. ‘Daff fall out’ con voce distorta dall’oltretomba e scractch impazzito ulteriore scheggia impazzita. ‘Sunshine’ altro interludio che prelude a ‘Liquid swords’ un brano più lungo, la polizia scientifica cerca tracce di jazz in questo brano e le trova dopo le risultanze degli esami autoptici. Tutto molto sghembo e irregolare, anzi regolare ma irregolarmente e non certificabile in maniera certa. ‘DFT FTF’ continua l’esplorazione dell’ignoto con una voce distorta non meglio identificata che farfuglia parole incomprensibili.
L’inizio del penultimo brano sembra il motivo principale della colonna sonora di Gomorra, qui la voce narrante è quella di Yasiin Bey aka Mos Def e sto per finire il lungo viaggio di questo disco, il suono del pianoforte di Robert Glasper mi inebria per come si fonde tra i vari contesti rimanendo riconoscibile ed originale al tempo stesso. ‘Cold’ chiude questa avventura sonora con leggerezza e delicatezza. Se non condividerete con me il giudizio entusiasta su questo disco, vera pietra miliare della musica nera moderna, che dirvi, ‘Fuck yo feelings’, ovviamente i’m kidding friends, con la tensione che c’è in giro e per par condicio mi accomiato con un conciliante ‘Fuck me feelings’.
