// di Marcello Narinelli //
Inizi anni ’70. I discepoli di Miles Davis hanno deciso che andranno per la loro strada e visto gli sviluppi dei discepoli del vate, che sono molti di più di dodici, come dar loro torto. Quando il bianchissimo austriaco riesce a penetrare nelle pieghe nerissime del Vate, quando i colori, a volte, sono un dettaglio trascurabile. Qui ci sono i prodomi dell’imminente nascita dei Weather Report. ‘Doctor honoris causa’ (brano dedicato alla laurea honoris causa dispensata a Herbie Hancock suo compagno di avventure musicali, dalla Grinnell University in Des Moines nello Iowa) è l’esempio provato di questo nuovo inizio presente nell’album del 1972 ‘I sing the body electric’.
Musica per due piani elettrici, flauto, tromba, sax soprano, due contrabassi e percussioni, recitano le note di retro copertina. Inizio leggero e soave con i fiati quasi sinfonico e poi il ritmo ipnotico scandito dalle percussioni di Joe Chambers, Billy Hart e David Lee con i due contrabbassi di Miroslav Vitous e Walter Brocker ad accompagnare l’ipnosi, manco fossimo sul lettino di Sigmund Freud. Woody Shaw, Earl Turbinton, George Davis ai fiati espongono il tema e poi il ritmo fluisce con le tastiere del leader e di Herbie Hancock a ricamare e a svolazzare sul ritmo psichedelico. Woody Shaw emerge dall’ammucchiata sonora, quando il termine ammucchiata non è negativo, e improvvisa e quando un trombettista improvvisa non si può non pensare al Vate. Dopo l’assolo di Woody Shaw è il turno al sax soprano di Earl Turbinton il sassofonista di New Orleans mentre il ritmo ipnotico continua il suo corso con i suoni minimalisti e le tastiere a ricamare, cucire e fare ammendi.

La rivoluzione elettrica prodotta da Miles Davis che riusciva prima di chiunque altro a captare i suoni dell’universo e renderli in musica immortale e ‘In a silent way’, secondo brano del disco, ne è testimonianza. L’incantevole brano, che è la seconda versione e ultima credo, dopo quella del Vate dell’omonimo disco, ricalca fedelmente l’altra, faccio fatica a scegliere la versione migliore. Avrei giurato che il sax che espone il tema fosse quello di Wayne Shorter, che secondo le note di copertina compare solo su un pezzo del lato B,, avrei puntato tutto su quel suono, invece ‘pare’ che sia di Turbinton. le cose sono due, o chi ha scritto le note di copertina si è sbagliato ed ha invertito i nomi o Turbinton suona come Shorter, propendo per lo sbaglio sui nomi, non può non essere che Shorter.
Che dire su questo pezzo, niente che non sia già stato detto, un pezzo talmente bello e profondo che sul lettino dello psicanalista con una canna da fumare insieme al terapeuta, abbiamo convenuto che i traumi infantili e le psicosi non esistono, è tutto bello, n’sacco bello e l’universo è celestiale, poi abbiamo anche convenuto che tutto questo è vero ma solo per la durata del brano in questione. Il lato B si apre con ‘His last journey’ con il suono delle campane e dei ‘forse’ contrabbassi con l’archetto, (sarà la canna insieme allo psicanalista di prima che mi impedisce di decifrare il suono) almeno così mi sembra che descrivono in maniera altamente evocativa un funerale dei nonni di Joe Zawinul in una giornata fredda invernale di un villaggio montano austriaco. Atmosfera raccolta con la tromba di Woody Shaw che è la sola che si eleva, episodicamente, e meraviglioso lavoro di insieme del resto della truppa che con sensibilità e discrezione accompagnano questo funerale postumo alla memoria. Pezzo e delicato e commovente in linea con gli altri brani, tutti a firma del leader, che non avrebbe sfigurato sul disco di Davis ‘In a silent way’.
Visto che però il mondo non è il luogo ideale di ‘In a silent way’, il secondo brano del disco ‘Double image’ per la legge del contrappasso, anche se è il contrabbasso di Vitus che detta legge, fa risaltare il lato oscuro dell’esistenza e il clima si fa più cupo ed inquietante e il beat collettivo aumenta di intensità e di volume e le tastiere impazzano su un tappeto free electric. Il disco termina con ‘Arrival in New York’ un piccolo frammento musicale che descrive con tanto di imitazione della sirena di una nave che entra nel porto di New York con l’archetto del contrabbasso che fa miracoli. Un’ultima annotazione, a proposito della copertina di ‘Tutu’, era solo per segnalare l’analogia di questi due primi piani, e anche se i due fotografi sono diversi, può darsi, che il fotografo di Tutu sia stato inspirato da questa copertina. In ogni caso un bianco e un nero in bianco e nero, meraviglioso no?