// di Francesco Cataldo Verrina //
Franco Cerri Quartet – “E venia da’ campi che di Cerri sentia”, 2008
Franco Cerri rappresenta un’icona del jazz europeo. Il chitarrista incarna la figura del decano per antonomasia del jazz italiano. L’uomo dal volto sorridente che per anni abbiamo visto in TV immerso in una vasca d’acqua con i divertenti siparietti pubblicitari di una nota marca di detersivi, è di certo colui che, più di ogni altro nel nostro paese, ha tagliato trasversalmente le fasi più significative del jazz mondiale.
Tra le sue dita di chitarrista sopraffino è passata tutta la storia del jazz, ecco perché i suoi dischi più recenti sono tutti una summa di esperienze e vissuti precedenti. In questo lavoro, che risale a circa 12 anni fa (ne ha pubblicati solo altri tre fino al 2012), il cui titolo nasce da una reminiscenza scolastica. Il chitarrista ha voluto giocare con il proprio nome, partendo da una citazione poetica legata alle tradizioni italiche, fatte di spostamenti fra collina, montagna e pianura. L’album denominato “E venia da’ campi che di Cerri sentia” è la rappresentazione ideale di un viaggio, che partendo da Milano, città natale di Franco Cerri, si muove attraverso tutte le vie stilistiche del jazz praticato negli ultimi settant’anni. In una vecchia intervista di oltre trent’anni fa, Cerri auspicava per sé un “pensionamento jazzistico” , a quanto pare mai avvenuto, nonostante il dato anagrafico.

Quando Cerri diede alle stampe questo album aveva già 82 anni, nonostante si caratterizzi come un lavoro che ribolle di energia creativa, attraverso un concentrato di eleganza, musicalità ed inventiva, dove il chitarrista mette in luce tutti i suoi pregi stilistici: un suono morbido, un innato senso del ritmo, un gusto poetico, una calibrata musicalità foriera di melodie cantabili e magicamente attrattive, sia pure essenziali, con perfetto equilibrio tra pause e silenzi. Tra i momenti migliori, una particolarissima versione di “Brazil,” eseguito su un tempo insolitamente più lento “Nell’arrangiamento di questo brano– racconta Franco Cerri – mi sono ispirato a Ella Fitzgerald. La ascoltai cantare un suo cavallo di battaglia, Lady be good, come fosse una ballad, mentre di solito l’eseguiva su ritmi velocissimi. Proprio Ella mi fece scoprire come si possa armonizzare e variare un classico, trasformandone il ritmo. Su Fine e dandy,ad esempio, a metà del pezzo cambio la tonalità per quattro battute e poi ritorno a quella originaria”.
L’inventiva di Cerri si manifesta in ogni traccia, fino a raggiungere l’apice in “When the Saints Go Marchin’ In,” quasi reinventato nella linea melodica e nella struttura. Il chitarrista swinga con passione e mordente mentre le varie tracce del disco evidenziano l’intima relazione, molto sinergica, con la sezione ritmica, ossia Mattia Manganelli al contrabbasso, Riuccardo Tosi alla batteria, ma soprattutto con l’organo hammond di Alberto Gurrisi suonato con estro e vitalità. Da questa seducente alchimia sonora scaturiscono gemme preziose come “All the way”, “But not for me”, “It could happens to you”, “Look for the Silver lining”, “The days of wine and roses” e “Sultry serenade”.
Pubblicato dalla Red Records e registrato il 29 e 30 maggio 2008, “E venia da’ campi che di Cerri sentia” è un album pregevole che coniuga raffinatezza e fantasia, che nasce non sono solo dalla maestria e dall’esperienza che Franco Cerri ha accumulato negli anni, ma anche dal rapporto con i giovani sodali che lo stengono, i quali aggiungono un forte senso di attualità a questa tipologia di jazz fuori dal tempo e dalle mode.
