// di Franceso Cataldo Verrina //
A volte si cerca un pianista sull’Oceano, ma si finisce per trovare un organista sul Mediterraneo, soprattutto un sassofono che, come un flauto magico, incanta ed intesse un filo magico narrando di storie fantastiche e di figure quasi fiabesche e dai tratti fumettistici, come quelle che albergano nella fantasia di un bimbo. L’itinerario sonoro si snoda a bordo di un carrozzone abitato da nani, ballerine, mangiafuoco, lanciatori di coltelli, prestigiatori, clown ed acrobati. Una sorta di circo dell’immaginario che trova ampia contemplazione nell’album “And Mama Was A Belly Dancer”, letteralmente, “E mamma era una ballerina del ventre”, di Bob Salmieri Bastarduna Quintet. (I Bastarduna sono dei prelibati fichi d’india di seconda fioritura).
Quello di Salmieri, al sax tenore, è un viaggio a ritroso in una dimensione spazio-temporale dilatata e dai contorni impercettibili, un addentrarsi negli anfratti della memoria di un uomo-bambino che, attraverso un puzzle musicale, costruisce i colori, i suoni e i sapori di un tempo lontano e di un mondo sognato, dove i ricordi si mescolano a visioni cinematografiche e letterarie, supportato da un ottimo line-up che sta al gioco: Giancarlo Romani tromba, Vincenzo Lucarelli Organ e piano Rhodes, Maurizio Perrone contrabbasso, Massimiliano de Lucia batteria con la partecipazione di Mateusz Nawrot al vibrafono ed al grand piano sulle tracce 2,3,7. La title-track, “And Mama Was A Belly Dancer” è quasi un’introduzione filmica con tanto di titoli virtuali: il tema lanciato dal sassofono di Salmieri viene ripreso dalla tromba di Romani, fino al cambio di passo dettato dalla retroguardia ritmica che trascina fiati ed organo verso un’ atmosfera vagamente circense, dove tutti i personaggi sfilano per le vie della città dei sogni annunciando l’arrivo della grande attrazione, mentre la ballerina assume più connotati di una bella gitana che volteggia con fare maliardo, piuttosto che un’araba tersicorea pronta a dimenare il ventre.

Appena si apre il sipario, sulla scena compare una ballerina balinese. Il suono del vibrafono di Mateusz Nawrot conferisce a “The Balinese Dancer” l’atmosfera di un carillon, una scatola sonora che si apre, mentre la danzatrice si muove sulla punta di uno spillo. Il vibrafono richiama al proscenio il sax di Salmieri che sembra assecondarne il leggero battito d’ali, l’arrivo della suadente tromba in sordina di Romani accentua il pathos, mentre il plot narrativo della ballata s’infittisce, pur lasciando un finale aperto. Man mano che si procede, si percepisce una soluzione di continuità tra le vari tracce: “Madame Oculus” lancia il suo sguardo ipnotico su una fitta trama sonora da toni e dalle tinte mutevoli che, in breve, sintetizza molti momenti della storia del jazz moderno, fino al secondo interplay ed al passaggio di consegne dal piano al sassofono per un finale di coltraniana memoria. “The Flying Davils” è una vibrante ballata disegnata da sax, piano e tromba con un tocco molto cool e spaziato in netto contrasto con il titolo, dove “i diavoli volanti” diventano i demoni creativi di anime inquiete e vaganti.
L’album si sfoglia piacevolmente come i capitoli di un libro che narra con il linguaggio del post-bop contemporaneo la storia di “Mister Thunder”, una sorta di forzuto Maciste, imponente e divoratore di fiamme, che atterrisce e diverte grandi e piccini. L’architettura sonora è quella di una rappresentazione teatrale caratterizzata da vampate e riff funkfied e senza aria ferma, quasi a voler tenere l’ascoltatore legato ad una sorta di filo teso. “The Dwarf’s Lover”, “l’amante del nano” è un magnifico esempio di bop soulful, dove sax, tromba ed organo si misurano su un terreno vagamente retrò, quasi il riscatto un uomo in scala ridotta, da sempre irriso buffone di corte, che diventa dominatore sulla scena e nella vita, sposando la ballerina, principale attrazione dello spettacolo.
La ripresa del tema di “The Balinese Dancer” sembrerebbe la realizzazione del sogno, ma è ancora fantasia. Il diario dei sogni e dei segreti si chiude con “8 Men Whit The Painted Faces”, un piccolo esercito di uomini dal volto camuffato, a meta strada tra “L’uomo che ride” del romanzo di Viktor Hugo, colui che guida il carrozzone dei bambini trasformati in attrazioni viventi ed i pagliacci del circo che tentano di strappare un sorriso occultando le proprie lacrime. Il terreno di coltura è quello di un soul-jazz dal passo bandistico e circense, rafforzato dall’organo di Vincenzo lucarelli. Una nota di merito va anche alla perfetta retroguardia sostenuta dal basso di Maurizio Perrone e dalla batteria di Massimiliano de Lucia. “And Mama Was A Belly Dancer” di Bob Salmieri Bastarduna Quintet, edito da Cultural Bridge, è un riuscito concept album, portatore sano un jazz mediterraneo dal carattere insolito e multiforme, incubatore di sonorità molteplici, dove i sogni ed i ricordi di un bambino diventano il forte collante di un’ opera moderna ben organizzata e convincente sia negli arrangiamenti che nella struttura melodico-armonica.
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