“L’opera di Basso e Valdambrini è una costante evoluzione degli stilemi jazz che dall’epoca pre-bop si snodano fino alle avanguardie, ma senza mai allontanarsi dalla tradizione”.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Basso /Valdambrini Sextet – «Exciting 6», 1967

Basso e Valdambrini, attraverso varie formazioni, ma soprattutto nella configurazione del sestetto classico. hanno rappresentato uno dei punti più elevati del jazz italiano degli anni ’60. Sin dal decennio precedente i due sodali avevano tentato di’insanguare il jazz nostrano con nuove proteine creative e formule espressive capaci di competere con i modelli afro-americani, da cui traevano ispirazione, ma con una capacità del tutto naturale di dare voce ad un jazz con caratteristiche italiane ed europee, filtrato attraverso il contesto ambientale autoctono e gli umori delle loro tempo. L’opera di Basso e Valdambrini è una costante evoluzione degli stilemi jazz che dall’epoca pre-bop si snodano fino alle avanguardie, ma senza mai allontanarsi dalla tradizione.

Come tutte le forme di jazz derivativo europeo, anche i lavori di Basso e Valdambrini sembrerebbero una summa di taluni paradigmi statunitensi, ma andando in profondità, ci si accorge che i due sodali, sostenuti sempre da comprimari e collaboratori di livello, avevano ottime capacità compositive, in cui certi climi sonori, talvolta traevano ispirazione dalla realtà locale. Tutto ciò gli ha impedito di fare ricorso ai soliti standard ed apparire una sorta di «relata refero» della creatività altrui. «Exciting 6» ne è una dimostrazione lampante. Tutto il materiale eseguito è originale e composto da Valdambrini, Donadio e Libano. Registrato allo Studio Microphone di Milano, il 10 gennaio del 1967, l’album fu realizzato nella formula vincente del sestetto con Gianni basso al sax tenore, Oscar Valdambrini alla tromba, Dino Piana al Trombone, Renato Sellani al piano, Lionello Bionda alla batteria e Giorgio Azzolini al basso. Quest’ultimo venne sostituito sulla seconda facciata da Bruno Crovetto, ma senza produrre particolari smottamenti nella stabilità del line-up.

L’album si apre con «Guernica» che, nonostante il titolo picassiano, ha più un sapore afro-cubano. Il senso della battaglia è raffigurato dall’assolo di Gianni Basso e dalla galoppante improvvisazione di Valdambrini. «Exotic» è un’altra brillante invenzione tematica di Valdambrini che si muove agevolmente sui cambi. Gli assoli vengono eseguiti sui tempi dispari, mentre la fuga improvvisativa di Sellani è bruscamente interrotta da un cambio di passo che prepara il terreno al contrabbasso per la sua avanzata sul front-line. «Aura», ispirata alla figlia di Ming, protagonista nei fumetti di Gordon, molto in voga in quegli anni, si materializza come un ballata preparata a fuoco lento, insaporita da umori e sapori molto ricercati, ma magnificata dal languido ed ispirato trombone di Dino Plana che raggiunge un climax espressivo non comune. «Look Out» è un piacevole mid-range che riporta alla mente talune atmosfere care ad Horace Silver. Il sax di Basso si allunga per un refrain intero, mentre tromba e trombone si alternano con otto misure a testa sul chorus successivo.

«Young Man» è un movimentato blues, a tratti nevrotico specie nella seconda serie di assoli caratterizzati da veloci stop-and-go. Quando il tema ritorna allo status quo ante, è la batteria di Lionello Bionda a dettare tempi e modi. «Leit Motiv», il cui tema possiede una melodia a presa rapida, viene esposto con fiati all’unisono: neppure una big band avrebbe saputo fare di meglio. Man mano che si procede il pianoforte prende il sopravvento evidenziando la vena creativa e la sensibilità di Renato Sellani. «Before Ten O’ Clock» è un mid-range vagamente ispirato ai Jazz Messengers. Le parti solistiche sono distribuite in maniera geometrica: sedici misure a testa. Valdambrini apre la serie, seguito da Basso, Piana e Sellani. «Agitazione», costruito sullo schema armonico di «So what», diventa la vetrina per due interventi solistici da manuale: in prima battuta Dino Plana, che fraseggia abilmente sulle note gravi, tampinato da Basso che raggiunge il punto espressivo più alto dell’intero album.

«Suspense» è la performance con il baricentro maggiormente spinto in avanti. Dopo un’esposizione slow-motion, quasi ingannevole e giocata su un tema un po’ ruffiano, lo sviluppo solistico viene modulato a briglie sciolte e senza vincoli di tempo. L’entrata davisiana di Valdambrini è spiazzante, ma trova presto il dialogo con il contrabbasso, sostenuto da una tagliente punteggiatura di piano e batteria, che tratteggiano i confini e delimitano il perimetro d’azione. «Navarra» ha le sembianze di un perfetto hard bop, con alcune divagazioni spanish: il titolo ne è una conferma. Valdambrini presenta il suo biglietto da visita con un pastoso assolo armonicamente svincolato, mentre Piana fraseggia in maniera funkfied; dal canto suo Basso procede in to the groove, emettendo ruggiti da giungla metropolitana. «’Nduma», «andiamo», in dialetto piemontese, firmato da Giulio Libano, suggerisce un clima alla Count Basie con l’esposizione a tre voci del tema.

L’impostazione da ensemble allargato è garantita dall’ottimo affiatamento dei sodali. «Donna Lu», a firma Attilio Donadio, diventa una perfetta rampa di lancio per Gianni Basso. Il tempo è piuttosto sostenuto e il tenorista s’invola in una dinamica Improvvisazione che occupa un intera strofa. Gli altri due chorus, prima della ripresa del tema, sono divisi in parti uguali tra Valdambrini, Plana, Sellani e Azzolini. «Exciting 6» rappresenta lo specchio fedele delle regole d’ingaggio tipiche del Basso /Valdambrini Sextet, dove tutto è studiato e centellinato in maniera mercuriale nel rispetto delle partiture; laddove lo schema di gioco sembrerebbe eccessivamente legato al passato, alcune improvvisazioni denotano un elevato gradiente di novità e d’inventiva tematica.

Basso & Valdambrini

EXTRA LARGE

BASSO VALDAMBRINI QUINTET PLUS DINO PIANA – «DEJAVÙ», 1960

Uno splendido esempio di jazz italiano, «Dejavù», del Basso /Valdambrini Quintet Plus Dino Piana fu registrato a Milano nel maggio del 1960. Dopo un’esaltante esibizione al quinto Festival del Jazz di Sanremo, Gianni Basso e Oscar Valdambrini entrarono in studio per realizzare il loro terzo album per la Jolly Records, aggiungendo il promettente trombonista Dino Piana alla formazione originale del quintetto presente nell’album del 1959. Entrambi i dischi, sia quello del 1959 che «Dejavù», aprirono ai due musicisti italiani le porte del mercato estero ed una successiva collaborazione con la Verve. In «Dejavù», oltre a Oscar Valdambrini alla Tromba e Gianni basso al sax tenore, furono della partita – come già detto – Dino Piana al trombone, Renato Sellani al pianoforte, Giorgio Azzolini al contrabbasso e Gianni Cazzola alla batteria.

Il jazz di Basso e Valdambrini aveva più addentellati nello stile californiano che non in quello del Nord-Est americano, per quanto i tributi ispirativi che pagavano erano assai variegati. In ogni caso, riuscivano ed esprimere il classico mood italiano degli anni ’50 e ’60, attraverso una musica che fosse al contempo cibo per la mente, ma anche per le gambe, ossia intrattenimento e ballo. Non manca da parte dei piemontesi Valdambrini e Basso una dedica a Torino attraverso un motivo della tradizione popolare, «Ciao Turin», in perfetto stile West-Coast. Questa traccia testimonia la bravura dei due band-leader con assoli da manuale e la riproposizione in chiave jazz di un’incantevole melodia italiana, quale tributo al Maestro Carlo Prato e alla città di piemontese. La cifra stilistica dell’accoppiata sax-tromba emerge particolarmente in «Lucy ed io», composta da Gianni Basso. Superbe le folate di swing up-tempo in «Guess who» e «Crazy Rythm», corroborate dal trombone di Dino Piana, tanto da creare una scanzonata atmosfera da big band.

Altra gemma dell’album è «Il Grimmo» firmata da Oscar Valdambrini, dove un misto di devozione all’intrattenimento e voglia di vivere creano una nostalgica ambientazione, quasi come una colonna sonora che descrive piccoli fotogrammi di un Italia che si avvicinava al boom economico ed ai mutamenti sociali, ridisegnando un pezzo di sogno americano, ma dai tratti pittorici fortemente italici. Perfino la loro versione di «Autumn Leaves», sembra un adattamento al clima italiano di quegli anni, soprattutto Basso e Valdambrini evitano accuratamente di scimmiottare Cannonball Adderley e Miles Davis; anzi, senza voler dissacrare l’ossario del jazz americano, la loro versione sembrerebbe più adatta ad un tema originariamente francese.