// di Francesco Cataldo Verrina //
Per tutti gli anni Cinquanta Monk aveva consolidato il suo stile ed impresso un marchio riconoscibilissimo alla sua musica, ma solo a partire dai primi anni Sessanta riuscì ad ottenere il plauso unanime della critica, specie tra il 1961 ed 1963 fu in grado attirare lodi e consensi come non era mai accaduto prima. Durante questo periodo, Monk, insieme al sassofonista tenore Charlie Rouse, al bassista John Ore ed al batterista Frankie Dunlop, per completare il contratto con la Riverside, fece un tour in Europa con due set registrati dal vivo, uno a Parigi ed uno a Milano. L’approdo alla Columbia generò subito due tra gli album più venduti dell’intera carriera del pianista: «Monk’s Dream» e «Criss Cross», tanto da ottenere la copertina della rivista Time e diventare perfino attrattivo per i sostenitori del rock e dell’hard bop.
Dopo il concerto alla Town Hall del 1958, il pianista si era stancato di adattare le sue composizioni a situazioni diverse che rischiavano di snaturarle. «Non cambiare il tuo suono per niente e per nessuno», diceva. A questo punto iniziò a lavorare per dare un assetto stabile ai suoi componimenti. Al fine di non spiazzare lo zoccolo duro degli acquirenti dei suoi dischi, egli limitò al minimo le nuove produzioni, riproponendo gli stessi brani di successo più volte, mentre le nuove composizioni, quasi di contorno, risultavano più strappate rispetto a certi classici del suo repertorio che nel frattempo erano diventati dei veri e propri standard.
Gli anni 60′ mostrarono un Monk diverso, più maturo, intenzionato a garantire un buon tenore di vita alla famiglia, intollerante verso ogni dispersione di tempo e cambio di line-up. In quel primo scorcio di decennio, Thelonious appariva piuttosto interessato alla stabilità della band e ad avere collaboratori che gli potessero garantire di fronteggiare lunghe tournée come quella europea in tutta sicurezza; in particolare un retroguardia ritmica in grado di sostenere le circonvoluzioni melodiche di Charlie Rouse e di consentire al suo pianoforte un ampio spazio di manovra.

Il contenuto di questo live è frutto di una seconda pubblicazione dello stesso materiale. La prima riguarda un doppio album del 1961 chiamato «Two Hours With Thelonious / Complete Paris And Milan Concerts» che metteva insieme i brani contenuti nell’album «In France» e «Thelonious Monk In Italy» ma su piani diversi, senza ripetere nessuna delle tracce eseguite. Per intenderci, erano state selezionate le migliori take da ognuno dei due concerti.
Registrato all’Olympia di Parigi il 18 aprile 1961, «In France» si sostanzia come una delle performance live più fresche e più riuscite della lunga carriera del Monaco. Un vero e proprio spettacolo che si esalta e si distende nella rilettura di classici immortali come «Hackensack» (ripreso anche in «Criss Cross»), «Well, You Needn’t», «Off Minor» ed «I Mean You». A differenza di «In Italy», però, le sue ultime composizioni non sono rappresentate. Inoltre, «Just a Gigolo» e «Crepuscule with Nellie», lo stesso rilievo vale per «In Italy», sono così brevi che appaiono come fugaci citazioni prima di congedarsi dal pubblico.
È notorio che Monk in quel periodo fosse rilassato ed appagato e si stesse godendo il successo: tutto ciò emerge dalla qualità delle esecuzioni e dal sincronismo quasi telepatico della band, che non fa nulla di rivoluzionario, se non intrattenere il pubblico con convinzione e professionalità. Esiste anche una versione su doppio album, tutt’ora in circolazione, intitolata «Monk In France / The Complete Concert» che include delle versioni estese di «Epistrophy» e «Rhythm-A-Ning». In definitiva, questo era Monk in procinto di lasciare l’etichetta che aveva rilanciato la sua carriera portandolo al top. Quella Riverside, dove Orrin Keepnews aveva accettato due registrazioni live come ultimi album per chiudere il contratto e sigillare un capitolo importante nel libro della storia monkiana.
