// di Francesco Cataldo Verrina //

Nella storia del jazz sembra che l’organo sia legato indissolubilmente al cognome Smith, a partire dall’incredibile Jimmy Smith, considerato il profeta dell’ Hammond B3, passando per Johnny «Hammond» Smith, che cambiò presto il suo nome in Johnny Hammond per evitare di essere confuso, fino ad arrivare al più giovane dei tre, Lonnie Smith. Quella degli Smith nell’ambito del jazz-backbeat-funk non è un dinastia: fra i tre non vi è alcuna relazione di parentela. Una dato di fatto è certo: gli Smith costituirono un asset importante di quella componente dell’hard bop dominata da organo e chitarra a detrimento del piano e del basso, che trovò larga popolarità soprattutto nell’ambito del proletariato afro-americano, intrigando alcune fasce della popolazione bianca anche in Europa.

Questa musica veniva usata durante le feste in casa e taluni acid-party dell’era beat, vuoi per l’immediata fruibilità, vuoi per l’elevato coefficiente di ballabilità. Il successo dell’Hammond B3 nel jazz passava soprattutto attraverso i juke-box, intorno ai quali si addensavano torme di giovani, operai neri e studenti bianchi, vogliosi di ancheggiare, ma soprattutto divenne il nutrimento principale di molte radio black-oriented. Tra i tanti nomi cominciò ad emergere anche quello del terzo Smith in ordine di apparizione, Lonnie, nato a Lackawanna, New York, il 3 luglio 1942, il quale debuttò per la Columbia Records nel 1967 come sideman al soldo di George Benson. Dopo averlo sentito suonare, alla Blue Note rimasero particolarmente colpiti, tanto da cooptarlo nella loro squadra. Presto, la Blue Note, all’epoca sotto la direzione di Wolff, avrebbe pubblicato il secondo album del giovane organista, facendolo abilmente passare come un esordio.

Uscito all’inizio del 1969, «Think!» arrivò al n. 46 nella chart di Billboard fra gli album R&B più venduti con una permanenza di quattro settimane in classifica. Nonostante il successo «Think!» non fu il maggior il traguardo commerciale dell’organista edito dalla Blue Note. Il follow-up, «Move Your Hand» del 1970, fece ancora di più, raggiungendo la posizione N°24 della stessa classifica; ciononostante l’album rimane tra i suoi lavori riusciti, consacrando il ventiseienne Lonnie Smith quale nuovo sacerdote laico dell’organo Hammond B3. Registrato Van Gelder studio il 23 luglio 1968, «Think!», pur essendo la tipica mistura di groove funkified e soul-jazz, apporta un’idea evolutiva rispetto al classico trio per organo, chitarra e batteria che aveva furoreggiato negli anni ’50 grazie a Jimmy Smith.

In tale circostanza la Blue Note decise di mettere in evidenza il talento di Smith in una dimensione musicale più ampia. La tromba di Lee Morgan, al massimo della forma, fu il vero valore aggiunto, insieme al sassofonista e flautista David «Fathead» Newman (membro di lunga data della band di Ray Charles), al chitarrista Melvin Sparks ed al batterista Marion Booker. Gli ultimi due avevano contribuito al flebile debutto del giovane Lonnie per la Columbia «Finger Lickin’ Good Soul Organ». Su due brani, il quintetto venne ampliato e trasformato in un ottetto, con l’aggiunta di tre percussionisti afro-latini: Henry «Pucho» Brown, Willie Bivins, e Norberto Apellaniz. «Think!» rappresenta un autentico melting-pot sonoro, un meticciato lungimirante ad iniziare dalla memorabile «Son Of Ice Bag» di Hugh Masekela, dove Sparks e Newman tirano fuori dal cilindro la magia dei tipici assoli funk-flow, mentre Morgan sembrerebbe aver frugato nel libretto degli appunti de trombettista sudafricano.

Il costrutto sonoro è trascinato dalla propulsiva batteria di Booker, che fa da volano ai fiati mentre enunciano il tema principale armonizzato su una sequenza di accordi discendenti. Gli assoli di tromba, sax e chitarra sembrano preparatori all’entrata in scena di Leon Smith, il quale prorompe dopo la ripresa del tema centrale. L’organo assume il comando e si proietta in avanti attraverso una ricca varietà di soluzioni ritmico armoniche depositate su tasti dell’organo con una spettacolarità ginnica. «The Call of the Wild» possiede un’aura epica beatificata da un humus più afro che americano, che vede Newman magnificare, con i suoi inserti di soul spalmabile, una pacifica gara tra l’organo di Lonnie (autore del brano), i coriacei ritmi di Pucho Brown e l’insistente funk della chitarra di Sparks. Il plot narrativo si srotola partendo da un’introduzione sospesa ed onirica, dove per un paio di minuti l’agreste flauto di Newman, la tromba in sordina di Morgan, ed i vibranti bisbigli della chitarra di Sparks si intrecciano garbatamente.

La quiete apparente annuncia una tempesta di batteria e percussioni che sviluppano un groove esotico che culmina in un risolutivo assolo di tromba. «Think» è il remake di un successo planetario della regina del soul Aretha Franklin, uscito l’anno precedente, ma presente ancora in molte classifiche dell’epoca. Alla Blue Note ebbero il geniale guizzo di saperne cavalcare l’onda lunga, immettendo sul mercato come primo singolo del debuttante Smith, proprio «Think!», con «Son Of Ice Bag» sul retro. La rivisitazione da parte dell’organista della tradizionale filastrocca per bambini «Three Blind Mice» prende spunto dalla versione di Art Blakey & The Jazz Messengers del 1962. La contagiosa melodia rifinita dai fiati scoppia in un groove soul-jazz brillante e solare, arricchito dagli assoli di tutti i musicisti presenti sul set.

L’album si chiude con «Slouchin’», un mid-range infarcito con percussioni caraibiche, dove Sparks entra in scena per il primo assolo, seguito da un Morgan più contenuto e meditativo, mentre Newman rialza la posta in gioco a colpi di tenore, preparando il terreno all’escursione vagamente cool di Lonnie Smith. «Think!», fu secondo lavoro del dell’organista Lonnie Smith come band-leader, il primo per Blue Note. Questo fu, però, il suo vero debutto in grande stile ed una delle sessioni più avvincenti che il novello maestro Hammond B3 avrebbe prodotto nell’arco della sua lunga carriera.