// di Irma Sanders //

È morto sabato 26 giugno all’età di 84 anni Jon Hassell, iconico trombettista e compositore, protagonista di una suggestiva e personale ricerca musicale tra il jazz, l’elettronica e la world music mediterranea, precursore dell’etno-elettronica Hassel si è spento sabato 26 giugno all’età di 84 anni. L’annuncio della scomparsa è stato dato dalla famiglia con un comunicato, precisando che l’artista è morto “per cause naturali dopo aver lottato per poco più di un anno con complicazioni di salute”.

Nella primavera del 2020 Hassell si era rotto una gamba cadendo nel suo studio di registrazione e ha trascorso quattro mesi in convalescenza in ospedale, in isolamento a causa della pandemia. Hassell era nato il 22 marzo del 1937 a Memphis, nel Tennessee, aveva studiato musica negli Stati Uniti e in seguito in Europa. Si interessò a vari stili musicali, soprattutto delle avanguardie, e nel 1978 pubblicò “Vernal Equinox”, il proprio primo disco nel quale proponeva l’idea di una musica del “quarto mondo” che affiancava suoni primitivi e futuristici, derivati dalla musica elettronica. Erano i tempi della Guerra Fredda e Hassell riteneva che oltre al primo mondo dell’Occidente e a quello meno libero dell’Unione Sovietica ci fosse un “terzo mondo” di nazioni ancora poco sviluppate, ma nelle quali c’era ancora uno stretto legame tra musica, spiritualità e tradizione.

Il suo “quarto mondo” derivava quindi dalla combinazione di quest’ultimo con altri aspetti più moderni e sperimentali della musica. Qualche anno più tardi, al suo rientro a New York fa le sue prime registrazioni con i maestri minimalisti LaMonte Young e Terry Riley. Grazie a loro e in una tournée romana incontra il compositore e strumentista indiano Pandit Pran Nath da cui imparerà ad usare la voce come un vero e proprio strumento: inizia così una ricerca continua verso la trasmutazione della maestria vocale del suo insegnante in nuove sonorità e stili per la tromba. La tromba di Hassell, memore della lezione del Miles Davis più elettrico, spesso soffusa (tramite l’utilizzo della sordina) e altrettanto spesso dal retrogusto più acido, incontra nei solchi dei due dischi influenze dall’estremo Oriente, frammenti di un’elettronica autarchica e un’avanguardia sempre placidamente psichedelica.

«Quella musica era un luogo dove condurre e mostrare nuovi esperimenti sociali», dirà poi Brian Eno omaggiando l’amico e collega nel 2007. Proprio con Eno (e con David Byrne dei Talking Heads), Hassell avrebbe dovuto collaborare per il seminale “My Life in the Bush of Ghosts”, ma all’ascolto dei primi nastri Hassell si tirò indietro, definendosi addirittura «indignato» per il risultato che stava emergendo. Un rifiuto sorprendente, che però non ha interrotto il sodalizio artistico e l’amicizia con Eno. Nella sua carriera, Hassell ha poi collaborato con artisti provenienti da ogni latitudine e stile musicale: con Flea, il pirotecnico bassista dei Red Hot Chili Peppers, con Paolo Fresu, con Ry Cooder, con i Techno Animal (Kevin Martin e Justin Broadrick), con l’Ensemble Burkinabè Farafina, etc. Il mondo della musica ha perso una delle sue figure più originali e brillanti, il visionario creatore di un genere che egli stesso descrive come “Fourth World” (“Quarto Mondo”), un ibrido unico e misterioso di antico e digitale, composizione e improvvisazione, Oriente e Occidente.