// di Marcello Marinelli //
“I only have eyes for you’ dear Lester, al least in these days”. La cover del brano che dà titolo all’album è una famosa canzone degli anni ’50 dei Flamingos, un gruppo doo wop vocale di Chicago. Quando le canzoni incontrano il jazz senza destare scalpore. Un nonetto d’eccellenza, quasi tutti ottoni, quattro trombe, Lester Bowie, Stanton Davis, Malachi Thompson, Bruce Purse; due tromboni, Craig Harris e Steve Turre, un corno francese Vincent Chancey, alla tuba Bob Stewart e ‘dulcis in fundo’, l’unico elemento estraneo alla famiglia degli ottoni, Mr. Phillip Wilson on drums. I Flamingos erano di Chicago come Lester Bowie, ma l’atmosfera che si respira in questo brano è new Orleans, 100%100 di inizio secolo scorso. Nonostante la canzone originale sia una canzone d’amore sembra di essere ad un marcia funebre, all’andata del funerale, tono sommesso ma grande lirismo, quando le belle linee melodiche possono fungere indistintamente in vari contesti. In effetti una bella canzone d’amore è adatta anche ad un funerale, l’estremo saluto in musica alla persona che si è amata.
Che c’è di più bello dell’ultimo addio in musica? Andamento lento da ‘marching band’ con la bella melodia esposta dl leader e sullo sfondo l’eccellente arrangiamento degli ottoni che fa da cornice perfetta al leader che si esibisce alla sua solita maniera originale di trombettista-rumorista, e qui rumorista senza offesa, anzi con encomio. Quando sono belli gli arrangiamenti, come in questo caso, che risaltano la bellezza della linea melodica, e quando si dispiegano in tutta la loro potenza di fuoco e l’apertura armonica si espande, il nonetto sembra un ‘ventetto’. Il secondo brano, “Think” di Bruce Purse, è un interludio di neanche due minuti, ma l’energia e la bellezza che emana la bellezza del mini arrangiamento orchestrale è un concentrato di armonia per ottoni. il terzo brano ‘Lament’ di Malachi Thompson (dedicato alla memoria del trombettista Ray Copeland morto l’anno prima dell’uscita del disco) inizia cupo come il titolo sta ad indicare e i suoni lamentosi sperimentano

“The dark side of the life”, sciamani e stregoni intorno al capezzale del sortilegio ma le aperture armoniche degli ottoni sembrano uscire dell’incantesimo nefasto poi il tono da marcetta, che la tuba di Bob Stewart guida, facendo dimenticare l’assenza del contrabbasso, risalta il bell’assolo alla tromba di Stanton Davis a cui Lester Bowie lascia l’onore dell’esibizione solistica e i rimanenti ottini che pulsano come stantuffi mentre gli spiriti maligni e quelli benigni si incontrano sula terra di confine. A ‘Coming back, Jamaica’ un brano a firma del leader che apre il lato B del disco si può sovrapporre ‘When the saints go marching in’ per quanto lo ricorda, forse sarà una tributo voluto e New Orleans dietro l’angolo e la marcia dei santi in processione; “Quando i santi arrivano marciando: oh, Signore, voglio essere con loro,
quando i santi arrivano marciando.
Segue “Nonet” di Bob Stewart, che con le sue linee di basso alla tuba sembra oliare il meccanismo dei pistoni della macchina degli ottoni a cui il pezzo è dedicato. Il fido Phillip Wilson accompagna in solitario l’evoluzioni degli ottoni a cui sembra fare la guardia, il cane pastore in difesa del suo gregge. “When the spirit returns”del leader accompagna sempre in marcia la band fuori dal proscenio verso l’uscita di scena in un tripudio di suoni e colori musicali e gli spiriti, che non sono ritornati (come suggerisce il titolo) non se ne sono mai andati, e anzi assistono all’epilogo del disco in maniera divertita e per niente molesta. Mentre ascolto il finale e immagino la brass band verso casa e la vedo di spalle che sene va con Lester Bowie che chiude la parata, col suo immancabili camice bianco, improvvisamente si rigira verso di me, evidentemente si sentiva osservato e mi fa: “Hey man, se un giorno dovessi comprare un ottone, non dimenticarti di comprare il Sidol per lucidarlo, è una mano santa”. “Thank you man” “Nothing man”. “Bye, Bye”.