// di Marcello Marinelli //
C’è un aneddoto che riguarda il titolo di questo LP. Durante un’intervista prima dell’uscita del disco, nel lontano 1984 un giornalista musicale chiese a Jack il titolo del suo prossimo LP, lui rispose Album, il giornalista fraintese la risposta di Jack e replicò, si vorrei sapere il titolo dell’album e Jack divertito rispose, Album, Album e da qui il doppio album di di nome e non di fatto, essendo un singolo LP. L’aneddoto è una mia invenzione ma mi piace pensare che sia andata così.
L’etichetta è l’ECM di quando di Manfred Eicher ancora ci si poteva fidare, poi tradì la causa e passò al nemico. ( Si scherza, non passò al nemico ma scelse una linea editoriale-musicale diversa che molti ammiratori della prima ora non condivisero, si può dire tutto dell’ECM, tranne che non sia stata l’etichetta più longeva, opera ininterrottamente dal 1969, credo non ci siano corrispettivi). Il disco del batterista è dedicato alla sua famiglia, quella di origine, in particolare alla madre e un brano al padre, mentre in copertina foto della moglie e delle figlie, certo che gli LP erano proprio belli e questo è uno di quelli che si apre e contiene belle foto all’interno. Il disco si apre con ‘Ahmad the terrible’, mi piace l’irruenza di questo pezzo e la sua costruzione formale e il tema dei fiati John Purcell (sax soprano e alto), David Murray (sax tenore), Howard Johnson (sax baritono e tuba) e soprattutto il solo del sax soprano e del sax baritono, nonché quello del piano ad opera dello stesso leader, che suona batteria e tastiere. Il drumming di Jack De Johnette è un portento, lo trovo veramente originale nel suo sviluppo e nell’arrangiamento.

Poi il disco continua con l’unico pezzo non originale del batterista, ovvero con ‘Monk’s mood’, un classico dei classici, con un arrangiamento sublime (secondo le mie orecchie) a firma di Howard Johnson che mette in risalto, all’inizio i fiati senza sezione ritmica che si aggiunge successivamente e discretamente. E’ talmente bello questo arrangiamento che il quintetto sembra un’orchestra (lasciatemi fantasticare) e il solo bello di Howard Johnson al baritono si aggiunge al resto. Il lato A si chiude con ‘Festival’ con una bella improvvisazione collettiva sul drumming del batterista e sulla scansione del contrabbasso di Rufus Reid.
‘The Orleans strut’ apre il lato B (bisogna sempre avere un piano B oltre che il lato) con questo pezzo ‘funkeggiante’ che mostra un bell’assolo al sax tenore di David Murray e il batterista si diverte a suonare oltre che la batteria anche le tastiere , e qui l’omaggio evidente all’ Herbie Hancock elettrico (così dicono arbitrariamente le mie orecchie). Il secondo brano è l’inno al terzo mondo ‘Third world anthem’ , il ritmo è serrato e si apprezza il solo di Murray e soprattutto il solo alla tuba di Howard Johnson, forse il massimo specialista dello strumento, che nella sua bocca non sembra uno strumento dalle ridotte capacità espressive ma uno strumento di incredibile versatilità.
Il disco si chiude con ‘Zoot suite’ dall’andamento variegato e multiforme che conferma quello di buono quello che questo disco ha offerto. Un disco fuori dagli schemi classici, qualcuno su Wikipedia ha scomodato nomi tipo post-bop, avant garde jazz o addirittura free funk, personalmente non saprei definire questo album sempre che sia necessario definire sempre qualcosa, ma la musica spesso sfugge a definizioni certe e inequivocabili, ma l’importante è godere più che definire.