// di Marcello Marinelli //
Il jazz è morto? E’ stato ucciso o è morto per cause naturali? Se è stato ucciso è stato lo stesso assassino dell’uomo ragno. “Forse è stata la mala o forse la pubblicità.” Il jazz però ancora non è morto, non ha ancora fatto la fine dell’uomo ragno, quindi allegria non c’è da essere tristi. La morte di qualcuno è un destino ineluttabile e quindi anche la morte del jazz, che ancora però non è avvenuta, è una probabilità come tutti i fenomeni storici, estetici e artistici. A maggior ragione non bisogna essere tristi, perché anche se morisse la musica jazz ci ha reso felici e ci ha dato nutrimento, quindi allegria.
Qui c’è da fare una distinzione, sullo stato attuale del jazz e sulla sua presunta o meno fine imminente. Un conto sono gli ascoltatori e un conto sono i musicisti. Se il jazz dovesse morire abbiamo a disposizione noi appassionati centinaia di migliaia di ore registrate su tutti i supporti tecnici e quindi potremmo sopravvivere per altre due o tre vite alla mancanza di novità crogiolandosi sul passato come un po’ già accade,. Per quanto riguarda i musicisti invece il discorso è più complicato, a dispetto di sforzi creativi il riscontro in termini di pubblico e economico non è all’altezza degli sforzi profusi, magari mi sbaglio ma è quello che percepisco, magari non per tutti i musicisti sarà così.
Si può vivere di solo jazz? Forse sono pochi quelli che ci riescono e poi comunque chi ambisce a far valere la propria arte al pubblico, a quel famigerato pubblico indistinto bisogna chiedere interesse, almeno ad una frangia di nicchia, perché sempre di nicchia si parla e allora un po’ di pubblico bisogna conquistarlo altrimenti c’è solo da preparare il funerale. Non si può prescindere da questo, un pubblico deve comprare i tuoi dischi, deve venire a tuoi concerti, deve cliccare sul tuo nome nelle piattaforme digitali musicali. I numeri non devono essere stratosferici e non lo sono mai stati nel jazz, ma un pubblico ci deve essere altrimenti si muore e un riscontro di numeri ci deve essere, siamo sempre in una società capitalista dove il motto imperante è che dove non c’è guadagno la remissione è certa. Bisogna destare interesse su un pubblico, su una porzione di pubblico e se questo non riesce significa che non c’è più interesse per questa forma di espressione, almeno nella versione moderna, e questa mancanza di interesse potrebbe essere transitoria o permanente, non lo sappiamo. Il dato oggettivo è che il jazz non è il genere di musica che si può fruire facilmente, è un genere piuttosto complicato e non semplice da apprezzare per la sua forma intrinseca.

Ci si lamenta delle grandi manifestazioni musicali come Umbria Jazz perché annacquate e contaminate e non più jazz puro al 100%, ma siamo ai punti precedenti evidentemente non bastano solo le star del jazz a far quadrare i conti e i conti devono quadrare, vedi sopra la società capitalista. Non bisogna gettare fango sulla manifestazione altrimenti acceleriamo il funerale. Io ho iniziato quando avevo 20 anni e ci sono cresciuto e ho ascoltato decine e decine di concerti delle nostre star, quando ancora la manifestazione era itinerante per le vie dell’Umbria e ho ancora i brividi per i meravigliosi concerti che ho visto. Non è più autenticamente jazz Umbria Jazz?
Certo Umbria Jazz è nata negli anni ’70, poteva essere la stessa dopo 50 anni? Siamo in un’altra epoca storica e niente è rimasto lo stesso dopo tutto questo tempo, per fortuna che c’è ancora perché innanzitutto organizza ancora meravigliosi concerti e poi con l’indotto di immagine che crea, alimenta ancora questo marchio indelebile “jazz” o quello che ancora ne rimane. Gli organizzatori della manifestazioni rispondono a logiche clientelari e chiamano sempre gli stessi musicisti?, sento molte lamentele a riguardo, magari sarà così, non lo so, non ho elementi, ma cari amici siamo sempre in Italia non nei paesi nordeuropei, qualche stortura ci può stare.
Chi critica la manifestazione, e ultimamente anche Pistoia Blues (che ha solo utilizzato il marchio per una rassegna di altro tipo) sempre con le stesse tiritere, che propone di alternativo? Se c’è un mercato pronto a recepire quello che non vi sta bene di queste manifestazioni cercate mecenati e sfidate il mercato (siamo sempre nell’orbita del capitalismo, ci piaccia o meno), organizzate un Pistoia Blues la vendetta o Rifondazione Umbria Jazz. Il mercato della musica sta in mano ai soliti squali? Io non li conosco perché sto fuori da certi meccanismi ma se così fosse bisognerebbe lottare come quando si registrano sopraffazioni o ingiustizie, anche se sappiamo da tempo, che non potranno mai essere eliminate dalla faccia della terra, tanto qualcuno per ragioni e motivi diversi si lamenterà sempre, è il destino di noi comuni mortali.
Se ci fosse uno spazio scoperto autenticamente jazz al 100% che non viene rappresentato e valorizzato, e che facesse gola al mercato, non pensate che qualcuno quello spazio l’avrebbe già riempito? Probabilmente quello spazio non c’è e allora che critica Umbria Jazz non lo fa a ragion veduta. Ultimamente sto leggendo avidamente il grande filosofo Nietzsche che certamente non è da annoverare tra i filosofi socialisti, anzi un è un filosofo contro la morale del gregge, antidemocratico, che parla male dei bassifondi, della plebaglia, “classe” alla quale io appartengo, ma nonostante ciò riconosco al grande filosofo una profondità di pensiero e di analisi, e nonostante la sua aria da oltreuomo non ho mai ravvisato in lui la cosiddetta “puzza sotto il naso” e credo che se gli appassionati di jazz non abbandonano questo atteggiamento, sarà la “puzza sotto il naso” che seppellirà questa grande tradizione musicale e se anche questo dovesse accadere, puzza sotto il naso o no, arci felice di aver partecipato a questa grande storia. Che c’entra Nietzsche in tutto questo? Niente, ma mi piaceva citarlo, magari a sproposito, però è anche il grande filosofo dell’irrazionale, e io in questa mia esposizione inserisco elementi irrazionali.
P.S.
Spero che il riferimento alla puzza sotto il naso non abbia offeso nessuno, perché non ce l’ho con nessuno in particolare, ma solo verso quell’atteggiamento che ogni tanto ravviso qua e là, che danneggia e non favorisce lo sviluppo di questa musica (secondo il mio modestissimo parere), ma non ho no nessuna velleità di oggettività e di perfetta interpretazione della situazione, primo perché sono un plebeo, secondo perché il filosofo citato prima, ha anticipato la fine degli assoluti e noi, privati di schemi certi e consolidati, siamo solo viandanti alla ricerca di senso così difficile da reperire e il mondo del jazz, (come tutti gli altri mondi) non è estraneo a questo disorientamento.
WINTON MARSALIS -”THE MAJESTY OF THE BLUES”, 1988
E il disco di Wynton Marsalis? Il disco in questione è pervaso da questo crepuscolo, magari io lo vedo e me lo sono sognato, può darsi, ma ognuno nelle note senza parole vede quello che vuole, ma il riferimento alla morte compare nella facciata B “The new Orleans function –the death of jazz- premature autopsies (sermon). Dove viene rappresentato in musica il funerale, mentre si va verso il cimitero, nella tradizione di New Orleans e il clima è mesto e il sermone, declamato dal reverendo Jeremiha Wright Jr e scritto da Stanley Crouch , lo certifica anche se alla fine parlando del jazz come come “noble sound” diffida dalla sua prematura autopsia . Ma alla fine con “Oh, but on the third day” (happy feet blues) come da tradizione, dopo aver celebrato la morte, si celebra la vita con un pezzo allegro e vitale e si ritorna alla normalità al ritorno dal funerale. Nel lato A viene invece celebrata la maestà del blues ma sempre con toni inclini alla malinconia, ma il blues è malinconico per definizione, quindi niente di nuovo sotto il sole.