“Siamo di fronte ad un Wayne Shorter esplorativo che esprime un’ottima vena compositiva ed un elevato grado di espressività, pur muovendosi su territori musicali talvolta inediti”.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Pur essendo stato Wayne Shorter per buona parte della sua carriera interessato al jazz come prodotto di fusione a caldo fra vari stili e linguaggi limitrofi, non ha mai mostrato particolare interesse per “terzomondismo” ecumenico o per delle forme di etnismo” sonoro di tipo territoriale, tanto che “Native Dancer” può essere sfoggiato come un unicum all’interno della sua folta discografia. Il sodalizio con Milton Nascimento nel 1975 portò Shorter su un terreno espressivo del tutto inedito, dove il jazz sacrificava una certa ortodossia, diluendosi nelle sonorità e nei colori di un Brasile scevro da qualsiasi connotato folklorico tipico della moda del jazz-samba, su cui avevano prosperato molti illustri predecessori.

Su cinque delle nove tracce il sassofonista si avvale del sostegno del cantante-chitarrista Milton Nascimento per creare un’affascinante miscela di sonorità che a volte travalicano l’idea di jazz, ma anche di Brasile in senso tradizionale, che aprono ad atmosfere afro e suggestioni provenienti dal Sud del mondo. L’ibridazione è alquanto riuscita, soprattutto perché Shorter in quattro tracce salvaguarda il suo corredo genetico meramente jazz, operando sia sul sax tenore che sul sax soprano in un quartetto o quintetto più tradizionale ed, a seconda delle tracce, è accompagnato da Nascimento alla chitarra e voce, David Amaro chitarra; Jay Graydon chitarra, Herbie Hancock piano e tastiere, Wagner Tiso organo e piano, Dave McDaniel basso, Roberto Silva batteria, Airto Moreira percussioni. È sottinteso che per fruire al massimo di “Native Dancer” bisogna per un attimo dimenticare il Wayne Shorter della Blue Note, quale membro di storici combo o quello del periodo strettamente fusion come i Weather Report. Siamo di fronte ad un Wayne Shorter esplorativo che esprime un’ottima vena compositiva ed un elevato grado di espressività, pur muovendosi su territori musicali talvolta inediti.

La voce di Milton Nascimento, che nel suo raggio d’azione in quel periodo aveva pochissimi rivali, ben si amalgama alla struttura ed all’impianto formalmente jazzistico dell’album, fondendosi a meraviglia con gli strumenti: il suo talento emerge particolarmente in brani come la suadente “Beauty And The Beast” e l’inarrivabile “Joanna’s Theme” composta da Hancock. L’altra colonna portante del progetto fu proprio Herbie Hancock, concreto e solido come una roccia, il quale dimostra di saper giocare su una vasta gamma di umori variabili, cambi di marcia e di portare a corredo tutta l’esperienza maturata, in quegli anni, attraverso la sua sperimentazione jazz-funk. Negli anni successivi ci saranno molti tentativi di imitazione di questo album, molti di essi più adatti ad un terreno decisamente smooth.

Il fulcro dell’opera è “Miracle of the Fishes” (“Milagre dos Peixes”) proveniente da un album seminale che Nascimento aveva realizzato in Brasile un anno prima. Come negli altri pezzi vocali il cantante si esprime attraverso il tipico falsetto lancinante ed inconfondibile, mentre Shorter estrae dallo strumento una fioritura di colori tonali e di tessiture melodiche. Fra i contrassegni salienti dell’album meritano una particolare nomination l’opener, “Ponta De Areia” e “From The Lonely Afternoons”, in cui il cantante brasiliano modula magnificamente il suo naturale strumento a corde vocali, sostenuto da melodie complesse e vorticose, nelle cui pause Shorter innesta soffusi assoli di soprano. La retroguardia, guidata da Airto, risulta impeccabile e calibrata soprattutto nell’esecuzione dei variegati ritmi che guidano le canzoni eseguite Nascimento. Splendide le esecuzioni di “Tarde”, “Ana Maria” di Wayne Shorter, e “Joanna’s Theme” di Herbie Hancock, ma tutto il percorso sonoro trascende la nozione classica di vernacolo jazz. Registrato al Village Recorders di Los Angeles nel 1975,

“Native Dancer” che, riassumendo, contiene tre composizioni di Shorter, cinque di Milton Nascimento e una di Herbie Hancock, è un album multitematico, basato su uno straordinario arazzo che fonde la voce unica di Nascimento al timbro unico del sax di Shorter, divenendo un’opera iconica, ma equidistante: lontana dall’essere sia un disco brasiliano nel senso topico che dall’essere un disco jazz alla Wayne Shorter, ma nel complesso si sostanzia come un lavoro abbagliante e visionario.

Wayne Shorter