// di Marcello Marinelli //
Nel luglio del 2017 andai a vedere in concerto, ad Umbria Jazz, questo insolito duo all’Arena santa Giuliana, lo spazio più grande della rassegna. Ero da una parte incuriosito, per l’atipico duo, dall’altra preoccupato per la riuscita del concerto in un posto così grande. E già difficile esibirsi per un duo in un club o in un teatro, figuriamoci in uno stadio. Arena abbastanza gremita e pubblico numeroso malgrado i nomi non altisonanti, anzi non avevo mai sentito nominare Edgar Castaneda (appare anche in un cameo nel celebre film di Genovese -Perfetti Sconosciuti-) oltretutto un suonatore d’arpa colombiano (arpa colombiana, arpa “Llanera”- uno strumento meno complesso dell’arpa classica che prende il nome da una musica tipica sudamericana) fra me e me un grande “bah”, ma siccome sono curioso vado. Hiromi, la pianista giapponese, l’avevo ascoltata superficialmente, di fatto non la conoscevo quindi riassumendo, aspettative basse, scetticismo diffuso. Inizia il concerto e, “clamoroso al Cibali”, dalle prime note si capisce che sarà un gran concerto.

Cominciano a “darci dentro” e l’atmosfera dispersiva dell’Arena viene inondata da uno profluvio di note che rendono l’ambiente compatto e articolato. Non sembrano un duo ma un ensemble numeroso e non si avverte alcuna mancanza di altri musicisti, sono autosufficienti si bastano e ci bastano, almeno per questa serata. Sento quella strana arpa e rimango sbalordito dal virtuosismo che emana (come si fa a tirare fuori suoni così da questo strumento) , e anche dall’ispirazione che sprigiona questo colombiano non affiliato né al cartello i Medellin né al cartello di Cali ma al cartello della buona musica. Hiromi a volte col suo straripante virtuosismo sembra più un acrobata e un giocoliere di circo che una musicista. La sua padronanza tecnica è paurosa insieme al colombiano, due “mostri” che non fanno paura.
Questa sera la maestria strumentale è messa al servizio della buona musica e non è fine a se stessa. Bellissimo concerto e al momento dei saluti finali vedo le sagome esili di questi due musicisti. Una pianista giapponese e arpista colombiano che suonano ottimamente jazz ed è bello vederli insieme, oltre i confini degli stati, aggiungono tonalità di colori, i giallo e il marrone, al bianco e al nero, il linguaggio universale della musica, in questo caso del jazz, uscito dai confini della sua area di provenienza, nato dalla diaspora di tanti africani con la tratta degli schiavi. Questo sconfinamento , questo uscire dal ghetto in realtà non è nient’altro il mondo diventato ghetto perché il mondo è stato conquistato dal ghetto. O forse no, la musica non cambierà il mondo e il ghetto sopravvivera’ magari un altro tipo di ghetto, ma è stato bello pensarlo e immaginarlo in musica, almeno per questa sera..
P.S
Il disco in questione è stato registrato Montreal e non a Perugia (ma i pezzi suonati sono più o meno quelli) e forse l’emozione che ti regala un concerto dal vivo non può essere sostituita da un disco dal vivo, ma ognuno sceglie le proprie emozioni, perché le emozioni in musica sono insondabili ma, come sappiamo bene, tanto gratificanti.