// di Guido Michelone //
Il 13 febbraio 2017 su «OpenEdition Journals» appare, bilingue (inglese e francese)il lungo articolo Jazz in Jamaica, at Home and Abroad di Herbie Miller e Roberto Moore, in cui si legge una mirabile sintesi della Giamaica in jazz dagli anni Venti al XXI secolo, premettendo che l’arte di Satchmo, Bird, Trane, eccetera, non è il genere musicale più immediatamente associato all’Isola, benché fin da subito, ossia nel periodo hot opera un piccolo ma brillante gruppo di strumentisti locali, che cresce di numero già nell’immediato dopoguerra, abbracciando la causa del moderno. Per Miller e Moore sono in particolare Ernest Ranglin, Monty Alexander, Douglas Ewart a cercare una propria identità, apporterando un tocco irriducibilmente giamaicano ai suoni medesime e alle evoluzioni musicali, soprattutto lavorando per lo zio sam o per l’Union Jack, parlando adidirttura di Maestri a proposito di Bertie King, Leslie «Jiver» Hutchinson, Coleridge Goode, Wilton «Bra» Gaynair, Harold «Little G.» McNair, Dizzy Reece, Sonny Gray, Kenny Terroade e soprattutto Joe Harriott, quasi tutti menzionati nel corso del capitolo.
Alla fine dell’articolo vengono persino discusse le reciproche influenze tra Giamaica e Stati Uniti a proposito delle due musiche definibili afroamericane; i due autori risalgono addirittura al 1926 quando Louis Armstrong si appella alla presenza dei giamaicani nel jazz, durante una perfomance interrotta da un disturbatore, nel bel mezzo di un assolo di tromba. L’interperante spettatore lo apostrofa in tal modo: “Vengo dalla Giamaica e non voglio interrompere la festa, ma uno dei miei connazionali mi dice che è pazzesco quello che sta succedendo qui. Signore, può suonare una canzone e dirmi che spacca, ma io prenderò una band di ottoni e le mostrerò un vero pezzo jazz di casa mia”. Il riferimento palese è a West Indian Blues che presenta forti analogie con il calypso Englerston Blues di Sam Manning, pioniere della muova musica appunto giamaicana.
Ma al di là di questo ‘inconveniente’ Miller e Moore segnalano che pure Fats Waller, contemporaneo di Armstrong, omaggia l’aporto della Giamaica al jazz registrando nel 1924con il gruppo Jamaica Jammers il brano West Indian Blues, dedicato al teorico dell’emancipazione afroamericana Marcus Garvey. Circas mezzo secolo dopo, solisti moderni come Lester Bowie (tromba) ed Eric Gayle (chitarra) si stabiliscono in Giamaica urante i Seventies, assimilando i ritmi reggae, diventando i primi a introdurli negli Stati Uniti a livello di jazz contemporaneo o moderno. Al con tempo, trombonisti quali Steve Turre, Delfeayo Marsalis e George Lewis tessono le lodi, citandone lo stile, a Don Drummond, che ne rapprsenta la controparte giamaicana.
Tanto il jazz influenza la pop music giamaicana, quanto cadenze e sfumature del West Indies sound, in numerose occasioni, colorano il linguaggio dei ritmi sincopati statunitensi. Le personalità di rispettati jazz di origini caraibiche o antillesi contribuiscono a plasmare l’estetica jazzistica medesima come sostiene persino Jelly Roll Morton quando sottolinea l’influenza spanish mentre racconta la propria vita al musicologo Alan Lomax che lo sta registrando. Forse con maggior acutezza Duke Ellington: “Un’intera stirpe di musicisti caraibici è arrivata e ha contribuito a quella che viene chiamata la scena jazz”. Duke si riferisce nello specifico all’impareggiabile talento del trombonista Tricky Sam Nanton, nato a New York da genitori delle Indie Occidentali; per Ellington, Nanton “(…) ha interpretato una forma molto personale della sua eredità caraibica. Quando un ragazzo viene qui dai Caraibi e gli viene chiesto di suonare jazz, quello che sta suonando è ciò che pensa sia il jazz, o ciò che deriva dalla sua interpretazione dell’idioma. Tricky e i suoi compatrioti erano profondamente radicati nell’eredità caraibica del movimento di Marcus Garvey… Come ho detto, il bop è un’estensione di Marcus Garvey nel jazz”.

21 album 1958-2021
Harry Belafonte, Belafonte Sings The Blues (RCA, 1958)
Dizzy Reece, Blues in Trinity(Blue Note 1958)
Joe Harriott, Southern Horizons (Jazzland, 1960)
Joe Harriott, Abstract (Capitol, 1963)
Joe Harriott, High Spirits (Columbia UK, 1964)
Kenny Terroade, Love Rejoice (BYG 1969
Ernest Ranglin, Boss Reggae (FRM, 1969)
Douglas R. Ewart and Inventions Clarinet Choir: Red Hills (Aarawak, 1983)
Tokyo Ska Paradise Orchestra, Tokyo Ska Paradise Orchestra (Kokusai, 1989)
Autori Vari, 100% Dynamite, Jazz In Jamaica / Treasure Isle ’60 (Soul Jazz Records, 1998)
Monty Alexaner, Stirt It Up – The Music Of Bob Marley (Telarc, 1999)
Monty Alexaner, Monty Meets Sly & Robbie (Telarc, 2000)
New York Ska-Jazz Ensemble, New York Ska-Jazz Ensemble (Moon Ska, 1995)
Jazz Jamaica, Double Barrell (Hannibal, 1998)
Autori Vari, One Love: Bob Marley All Star Tribute (Palm Pictures, 2000)
Rotterdam Ska-Jazz Foundation, Sunwalk (Grover, 2005)
Autori Vari, Rastafari: The Dreads Enter Babylon 1955-83 (Soul Jazz Records, 2005)
Nyahbingi Drum Choir: Velvet Drum Meditations (Aarawak, 2010)
Ernest Ranglin, Jazz Jamaica (Federal, 2014)
North East Ska Jazz Orchestra, Stompin’ And Rollin’ (Brixton, 2015)
St Petersburg Ska-Jazz Review, Growing Up Is Just A Trap (Magnetic Loft Records, 2021)
6 dischi esssenziali
1959-1962
Autori Vari, Jazz Jamaica (Honeypie,)
Questa compilation presenta alcune preziose rarità, incise tra il 1959 e il 1962 dai pesi massimi del jazz giamaicano quali Tommy Mc Cook, Don Drummond, Ernest Rangling, Lennie Hiibert, Cecil Lloyd, eccetera. Sono suoni altamente swinganti, ispirati alla tradizione black americana dal sapore caraibico unic, merito dell’Alpha Boys School di Kingston, sotto la direzione di suor Mary Ignatius,
1959
Harry Belafonte & Lena Horne, Porgy and Bess (RCA)
Il primo all’apice del successo, la seconda già diva dello swing sempre attiva in teatro si trovano a interpretare l’ennesima versione jazz (allora di moda grazie a Louis Armstrong, Ella Fitzgerald, Miles Davis) del melodrmma di George Gershwin, per ricopngiugenrsi disco graficamente solo con Harry & Lena, for the Love of Life (RCA 1970), lavorandoperò assieme nella lotta per i diritti civili negli Stati Uniti.
1960
Joe Harriott Quintet, Free Form (Gott Disc)
Il quintetto (Shake Keane, Pat Smythe, Coleridge Goode, Phil Seaman, oltre il leader) suona un free vicino al recupero o della forma, evidenziata dalle strutture di otto brani,da un accentuato senso melodico e da un intenso lirismo di ascendenza parkeriana, sia pur stravolto con brevi assolo improvvisi, cambi di tempo subitanei, spezzettamento del fraseggio repentino.
1964
Ernest Ranglin, Reflections (Island)
Si dice che questo 33 giri sia all’origine dell’incontro tra il ‘mento’ giamaicano e il ritmo regolare jazzistico (il cosiddetto beat 4/4), nonché tra le migliori registrazioni del jazz giamaicano medesimo. Prodotto dal padrino della musica in loco, Ken Khouri, è da relazionare idealmente all’esordio Wranglin e al successivo Guitar In Ernest.
1978
Skatalaties, African Roots (United Artists)
Al gruppo. nato nel 1967 e ancor oggi attiva – è riconosciuto il merito di dare il nome allo ska e di idearla quale musica in levare, grazie a Ernest Ranglin, e ad altri mebri come Don Drummond, Tommy McCook, Rolando Alphonso, che in questo terzo dei 25 album finora editi accentuano le radci arcane,m non senza qualche passaggio swingato.
2001
Monty Alexander, Goin’ Yard, (Telarc)
Trittico ideale cominciato con Stir it up (Tribute to Bob Marley) e con Meets Sly and Robbie in omaggio al natio reggae della sua terra natia, qui dal vivo al Manchester Craftsmen’s Guild sembra fare un riassunto degli altri due, con un’esecuzione impeccabile nel sound leggero pur compiaciuto e narcisista.
