“La musica afro-americana in tuti i suoi aspetti, nessuno escluso, è un tassello che si aggiunge ad altri tasselli tutti importanti e tutti legati da un filo conduttore che hanno fatto grande questa estetica musicale e la storia d’America e di conseguenza la storia del mondo”.

// di Marcello Marinelli //

Un po’ di tempo fa, molto tempo fa, al momento di decidere il nome della mia mail, decisi d’impeto senza pensarci, (la forza incredibile dell’inconscio), uscì fuori dal cilindro dei miei circuiti cerebrali il nome freejazz@alice.it (mail che poi dovetti abbandonare perché intasata da spam e quant’altro) . C’era stata la folgorazione di Archie Shepp e Max Roach in concerto al Pincio che mi aprì la mente e un nuovo mondo musicale. Tralasciai i miei trascorsi musicali di altro tipo e mi catapultai sulla scena jazz.

Per parecchi anni non feci altro che approfondire la conoscenza della musica afro-americana in tuti i suoi aspetti, nessuno escluso perché la storia afroamericana è un tassello che si aggiunge ad altri tasselli tutti importanti e tutti legati da un filo conduttore che hanno fatto grande questa estetica musicale e la storia d’America e di conseguenza la storia del mondo. Ornette Coleman fu uno dei tasselli di questa grande tradizione, l’evoluzione estrema e forse l’ultima rivoluzione all’interno di questa gloriosa tradizione, d’altronde la ”rivoluzione permanente” non è possibile e la storia ce lo insegna, il suo maggior teorico, Lev Trockij è morto a picconate, certo era un altro tipo di rivoluzione ma sempre di rivoluzione si parla, è una metafora azzardata e in musica, per fortuna, il piccone non viene usato.

Ornette Coleman

Tra i molti capolavori del grande sassofonista texano, uno dei dischi per me più cari, per affinità emotive, fu Science Fiction. Fantascienza? Si per quel tempo era musica da fantascienza, una musica inaudita, mai udita prima che dava cazzotti sullo stomaco e bisognava essere forniti di potenti addominali per rintuzzare la forza emotiva e sonora che quella musica provocava nella testa e nello stomaco di chi l’ascoltava. La storia della musica jazz è una storia essenzialmente nera ma questo non ha impedito ad una moltitudine di musicisti bianchi di dare il loro enorme contributo al suo sviluppo. In questo disco c’è un esempio di un grande musicista bianco, l’unico nel disco, almeno nel quartetto base, il grandissimo Charlie Haden che si inserisce alla perfezione nelle trame musicale estreme e con la sua cavata possente al contrabasso, che si riconosce ad un miglio di distanza, è parte integrante di questo tessuto sonoro.

Billy Higgins, Ed Blakwell e Don Cherry, Dewey Redman and others sono gli alieni in compagnia del super alieno Ornette Coleman. Edgar Varese sosteneva: “non esiste l’avanguardia ma solo qualcuno che rimane un po’ indietro” e allora sei questo è vero, ma solo in parte perché rimanere indietro non è solo negazione dell’andare avanti, possiamo dire con assoluta quasi certezza che in arte e nella fattispecie, in musica, tutto ruota attorno alle fughe in avanti e in ciclici ritorni al passato e allora io personalmente nel mio andare avanti e nel mio dolcemente regredire, esprimo tutto il mio gioire.