// di Marcello Marinelli //

“Nefertiti”, la regina egizia che nella grafia egizia Nfr.t-jj.tj significa “la bella è venuta”, nonostante il tempo brutto di fine aprile, “la bella è venuta”, o meglio per evitare facili ironie “la bella è arrivata”, anche se la fantasia legata al nome e al bel aspetto, evoca scenari da brivido, che una bella regina innamorata rivolge al suo innamorato, il fortunato Amenhotep IV o (Akhenaten). Mentre fa all’amore con lui, emette sospiri di piacere nel suo padiglione auricolare.

Il tempo è brutto in questo inizio settembre, ma “la bella è arrivata” o il più languido la “bella è venuta”, ma come sarà arrivata Nefertiti a me? E come mi è venuta in mente la bella e tenebrosa e nonché misteriosa regina africana? Nel sogno mi è comparsa e si è innamorata pazzamente di me, mi ha sussurrato all’orecchio del mio software cerebrale, “mi fai impazzire, mio assistente giudiziario F3!” , ed io “Non pensavo mia regina che ti piacessi così tanto, non avrei mai immaginato cotanto amore al mio cospetto, ma che ne pensa tuo marito Ackhenatem?”. “Lo uccidiamo, caro il mio impiegato statale che vuoi, che ce ne facciamo? Come faremo con tua moglie”.”Ma mia regina Nefertiti, lo so che a corte, ci sono sempre congiure e complotti, e tutto questo è così tragicamente naturale, ma io vengo da un altro mondo, non ci penso proprio ad uccidere tuo marito, come non ucciderò mia moglie cara la mia aspirante e subdola assassina”. “Potremmo continuare ad essere amanti pacificamente senza spargimenti di sangue, altrimenti sono costretto a separarmi da te”. “Come osi contraddirmi umile servitore dello stato, forse non lo sai che sei mio schiavo, che ho su di te potere di vita o di morte?

A questo punto nel cuore della notte, preso da una forsennata agitazione motoria e di sudorazione, mi svegliai da quel sogno che si era tramutato in un incubo senza ritorno, ancora una volta l’attrazione fatale era naufragata nel peggiore dei modi, ero praticamente “FALL” ovvero caduto in uno stato di trance, dapprima “fall in love” (innamorato) e subito dopo “fall in fear” (morto di paura), dovevo allora immediatamente riprendermi da quello stato di ansia in cui ero caduto e poi, una volta svegliatomi, felicemente senza l’assillo della regina morbosa e assassina, dovevo distrarmi un po’. Per distrarmi andai a ballare in un locale della 52° strada in cui suonavano jazz, mi piaceva da morire il “JIVE” il ballo che andava di moda in quel periodo, era la fine degli anni 30° e l’inizio dei 40° e adoravo le circonvoluzioni dei ballerini Jive.

A quel tempo ad Harlem il posto che frequentavo era il Savoy Ballroom, e lì tutte le sere si ballava il Jive a tempo swing. Io presi la mano “HAND” della mia ragazza di allora, una certa Roxanne Shantè che era una gran bella ragazza e soprattutto era la mia ragazza, ero innamoratissimo di lei, e poi anche particolarmente geloso, le scenate di gelosie erano diventate proverbiali al Savoy, eravamo la coppia più litigiosa del locale. Ci facevamo anche notare per la nostra diversità di pelle, io bianco, latino, ma pur sempre bianco, invece lei nera, più mulatta che nera per dire la verità, ma eravamo irriducibilmente diversi, innamorati ma diversi e poi soprattutto litigiosi. Gelosissimi di tutto quello che si muoveva intorno a noi, provavamo a darci la libertà di ballare anche con gli altri, ma poi eravamo preda dei nostri spasmi maniacali e vedevamo in tutti i nostri partners danzanti, potenziali “provoloni” dell’ultima ora.

Quindi da ciò se ne deduce che le nostre serate fossero alquanto movimentate e intense. A volte per via dell’ira furibonda da gelosia urlavamo e ci insultavamo e litigavamo tutta la notte, ma alla fine facevamo all’amore con un’energia e una passionalità fuori dall’ordinario, impazzivo per lei e lei impazziva per me, fino al momento che una notte, un tizio gli si avvicinò con fare da “conquistador”, io che avevo bevuto molto quella notte, lasciai la ragazza con cui stavo ballando, non perdevo mai di vista la mia Roxanne, e come una furia mi precipitai verso di lei per chiedere spiegazioni di quella vicinanza oltremodo sospetta. Lei mi disse di lasciarla stare, mi disse che la dovevo lasciarla tranquilla, ma io in preda ai fumi dell’alcool, non trattenni la mia aggressività e la spintonai, lei cominciò a dirmi tutte le nefandezze di cui era capace, quando doveva difendersi da me. Il tizio che era con lei fece l’errore di intromettersi, intimandomi di andarmene a brutto muso, allora io non ci vidi più dalla rabbia e spaccata la bottiglia di rum che mi ero appena scolato, e impugnandone il collo , mi girai di scatto e gli tagliai di netto la gola, e schizzi di sangue mi giunsero in viso, urla e disperazione in un momento, io rimasi inebetito davanti a quell’assassinio così improvviso e insignificante, e con lo sguardo ebete feci cadere il collo della bottiglia ancora grondante di sangue. Avevo lo sguardo fisso nel vuoto, non capivo quello che fosse successo, intorno a me solo immagini confuse e urla e tutto annebbiato, intorno a me tutto terribilmente annebbiato, vedevo solo i contorni delle persone e del luogo, l’immagine sfocata di Roxanne in lontananza, ad un certo punto non sentii neanche più le urla, solo una fitta nebbia e il vuoto e il silenzio assoluto.

Non riuscivo più a connettere la mia mente con il mio corpo, una sorta di straniamento aveva preso il sopravvento in me, il cervello non dava più ordini e io ero come paralizzato, incapace di qualsiasi collegamento logico, soltanto un sibilo di ottone penetrante e acuto che rimbombava nel mio cervello in stato confusionale, così a prima vista, anzi a primo udito sembrava un suono di tromba. Ero proprio diventato pazzo, la pazzia, the “MADNESS”, mi aveva rapito e portato in luoghi i difficile accesso, in sentieri impervi e sconosciuti. Sudato freddo e con tremolii degli arti e strani formicolii interiori mi svegliai, aprii gli occhi e con mia grande soddisfazione, in preda ad una gioia immensa mi resi conto che non ero diventato un assassino e che nessuno mi avrebbe arrestato e processato per un crimine così assurdo, ero proprio felice di averla scampata ancora una volta e preso da un’incontenibile frenesia decisi di fare immediatamente un viaggetto a Parigi.

Presi il primo volo per Parigi e atterrai all’aeroporto Charles De Gaulle. Presi il treno regionale e poi la metropolitana, destinazione Pigalle, dove avevo prenotato un alberghetto, in compagnia di i miei due amici Claude e Francois, due miei amici francesi che avevo conosciuto anni prima al festival jazz di Montreaux. Appena scesi però notammo subito che c’era molta agitazione in giro e un terribile puzzo di bruciato e di gas lacrimogeni e gente che correva da tutte le parti e le sirene di autoambulanze e polizia. Automobili in fiamme, molte automobili in fiamme e ragazzi che scagliavano pietre, molte pietre e appiccavano fuochi. Scontri violentissimi fra manifestanti e forze dell’ordine, una vera e propria rivolta, questo tipo di scontri di che in America prendono il nome di “RIOT”. Ma in che epoca ci trovavamo, che tipo di motivazioni profonde avevano provocato questo diluvio di violenza e di ribellione? Forse il 1968?? Il 1977? Il 2005????? Non riuscivo a collocarmi storicamente.

Nel fuggi fuggi generale persi i miei amici e rimasi solo senza risposte. In che situazione mi trovavo? Un sogno non mi sembrava, in un incubo neanche, allora forse in una fiaba con gli orchi cattivi? Cercai una fata madrina per interrogarla e per risolvere questo maledetto rompicapo, ero sprofondato in un puzzle inestricabile, i pezzi non si incastravano. “Allora fata madrina ci sei?” Riecheggiavano le mie parole nella luce dei bagliori notturni. La fata madrina si fece viva e nel giro di qualche minuto dopo avermi squadrato da cima a fondo per capire di che materiale fossi composto, mi rispose con una voce calma e suadente: “Non è a me che devi chiedermelo buffo soggetto con sembianze umane, chiedilo a mastro Geppetto. Lo troverai più avanti intento a lavorare il legno”. “Grazie fata madrina, risposi io un poco rassicurato”. Camminai ancora per qualche metro e incontrai il falegname alle prese con i suoi lavori, che non fu sorpreso di vedermi”. “Finalmente sei tornato “PINOCCHIO”, ma dove ti eri cacciato in tutto questo tempo, mi stavo preoccupando, non ti vedevo tornare, che fine hai fatto?”. “Ma…ma…..io…veramente…io…..scusi signor Geppetto…ehm……ehm….. signor falegname……..non sono PINOCCHIO”. Mastro Geppetto con tono perentorio mi disse: ”Non cominciare con le tue solite crisi di identità, caro il mio burattino senza fili, ora vai a coricarti che domani devi andare a scuola!”. “Mi gira la testa, dove sono capitato!!???.”Nefertiti, Roxanne Shantè, Claude, Francois, la Fata Madrina, mastro Geppetto, miei casuali compagni di viaggio, dove ci siamo catapultati??devo assolutamente consultare un oracolo”.

Mi incamminai verso la costa, attraversai la Manica e poi i Pirenei, scesi lungo la costa iberica fino a Gibilterra approdai in Marocco al porto di Tangeri e provvisto di zaino e borraccia, andai incontro all’oracolo del deserto. Lungo la costa atlantica respirai il profumo del vento che mi spingeva a ricercare la verità. Il grande Sahara che confluiva sull’Atlantico era di una bellezza straziante e minacciosa al tempo stesso .Attraversai la Mauritania e giunsi fino in Mali ma non sapevo esattamente dove si trovasse l’oracolo. Chiesi ad una carovana di beduini se sapessero darmi delle indicazioni a riguardo. Un gruppo di bambini si offrì di accompagnarmi alla capanna del grande vecchio. Eravamo arrivati a Timbuctù, alla periferia della città. Con il fiume Niger che ci proteggeva dalla siccità. Ricompensai i bambini che mi avevano accompagnato alle soglie della capanna del grande vecchio e li salutai con un cenno della mano. Un po’ fra l’intimidito e l’incuriosito, mi avvicinai lentamente all’entrata della capanna. Mentre mi avvicinavo una voce profonda mi esortò ad entrare.

Davanti a me un gran vecchio e anche un bel vecchio, con la barba lunga e i capelli bianchi lunghissimi lungo le spalle, uno sguardo profondo e misterioso, due orecchini ad anello nei lobi delle orecchie. Seduto su un tappeto con la classica posizione del fior di loto, coperto solo da una tunica banca di cotone africano mi diede una sorta di benedizione, almeno io capii così. Senza proferire parole mi indicò con un gesto repentino delle dita di accomodarmi sulla stuoia davanti a lui. Io lentamente mi accovacciai e aspettai che emettesse di nuovo fonemi articolati. Dopo qualche interminabile minuto, lui con voce ferma e rassicurante, mi disse: “Tu stai cercando la verità, ignaro viaggiatore virtuale, ma la verità è molto più vicina di quanto tu immagini”. “Viaggiatore virtuale hai qualche sentore di dove tu ti possa trovare in questo momento??”. Io balbettante e sconcertato risposi. “Ve…ve…rament…e…ehm..….sono co…co…sì…..esterefatto da…da…tutti questi ehm….avv..enimenti, che non…ehm…sa…saprei cosa…ehm…dire”. “Già sei così sconcertato e disorientato in questo momento. Sei umano, caro il mio viaggiatore virtuale, sei umano, troppo umano, esageratamente umano, ma non ti preoccupare sei un posto piccolo, sei in un microcosmo.

Sei in un cerchio in questo momento, sei in un cerchio piatto. Sei innanzitutto in una sfera tonda che è il mondo e poi sei anche in un cerchio piatto di vinile. Ti trovi praticamente fra i solchi di un long-playng, di un vecchio disco a 33 giri”. “Ti sei fatto prendere la mano dai tuoi solchi. Sei entrato dentro questi solchi come un contadino con l’aratro, e come un sommozzatore, ti sei immerso in quei solchi e ti sei perso in quei solchi, ti sei semplicemente perso dietro a questi solchi”. “Non sei andato lontano, credevi di esserti allontanato, ma stavi più vicino di quanto immaginassi” . Sei precisamente un disco di Miles Davis del 1967. Si intitola “Nefertiti” il lato A contiene tre brani 1) Nefertiti 2) Fall 3) Hand Jive, mentre nel lato B altri tre brani 1) Madness 2) Riot 3) Pinocchio. Tutto chiaro viaggiatore?” e poi silenzio…. dopo un po’ con un inchino regale del capo mi fece capire che l’incontro poteva considerarsi terminato. Allora io dopo averlo ringraziato delle sue parole che mi avevano chiarito i concatenamenti degli eventi e il loro stesso significato, lo salutai con rispetto e stima e feci passi a ritroso.

Presi il mio zaino con la borraccia e tornai verso casa, andai in salotto presi il disco di Miles Davis “Nefertiti” dal piatto Technics, sollevai la puntina, presi delicatamente il disco di vinile con entrambe le mani, lo misi nella custodia interna della copertina e lo riposi negli scaffali della mia discoteca. Lo riposi come si fa con un gioiello in uno scrigno segreto, lo dovevo custodire gelosamente, era il mio tesoro, nonostante tutto.