// di Bounty MIller //
Ero appena arrivato alle Terme di Caracalla dove i Romani giocavano a palla, non c’era nessuno, tranne il gatto con gli stivali che cercava di risolvere il mistero delle dodici lune. Il felino mi scrutò e mi disse: “se cerchi il jazz, qui non c’è trippa per gatti!”.
Così dicendo, tirò fuori da una bisaccia questo disco con aria sconsolata, anzi condizionata: “me l’ha consegnato un rider in bicicletta” – farfugliò con tono muscolare dimesso, invitandomi a leggere – “guarda bene, Twelve Moons, part one winter-summer e part two summer-winter, mentre io cercavo solo una pizza quattro stagioni”. Infatti, aggiunsi io: “ti mancano due stagioni, spring-autumn ed autumn-spring, però sappi che le mezze stagioni non ci sono più e neppure le mezze lune, le mezze misure, le mezze maniche ma solo mezze verità su questo sciamano di nome Jan Garbarek che ciurla nel manico e fissa il cielo in un punto esatto verso la costellazione del tapiro, e poi qui queste dodici lune mi sembrano tutte storte”.
A questo punto Il gatto con gli stivali da cow-boy, con aria dimessa, mi domando: “Ce l’hai per caso un disco di Vivaldi con le quattro stagioni?”. Stavo per dirgli: “ma non è meglio se andiamo alla pizzeria di Ninetto Davoli e ci facciamo un Margherita Buy-to-Eat o una Pizza Sabina con salsiccia, ferilli e friarelli”. Al contrario mi trattenni dal suggerire l’insana idea, proponendogli di andare a fare un giro all’Outlet in Valdichiana, Nel frattempo il mago Garbrek tentò di irretire il gatto eseguendo una sorta di salmo. Ma l’incantesimo non riuscì, perché non devi dire mai gatto, se non ce l’hai nel sacco. Le parole di Trapattoni, filosofo dell’inglese-maccaroni, risuonarono nell’aria come un monito: “No say the cat is in the sac”. Il gatto con gli stivali, con un certo imbarazzo, mi chiese: “ma che dice questo, io ho studiato all’Università di Oslo, non lo capisco”.
“Bene – risposi io – “allora siamo nell’Oslo del ciclone”. “Ma non era l’orco del ciclone?” aggiunse lui. Provai subito a scrollarlo: “ah micetto, la vuoi questa pizza quattro stagioni, allora non fare tanto lo spiritoso e metti in moto le turbine degli stivali delle sette leghe che arriviamo ad Oslo, vendiamo il disco e ci compriamo due pizze, anche al taglio, beviamo due birre crude e poi se n’annamo a dormì”.
Ci fu un attimo d’imbarazzo, non sapeva come dirmelo, ma poi se facette anema e curaggiu, come avrebbe detto Tito’: “Due leghe le ho cedute a Salvini, quella Lombarda e quella Veneta, però con le altre cinque ce la dovremmo fare.” Intanto Garbarek aveva tentato anche un’arietta, una strofetta, un’operetta, una trombetta, un witch.tai-to ed un triccheballacche celtico.
Volammo verso le gelide terre del Nord, arrivando ad Oslo a notte fonda. Non c’era anima viva, solo una pizzeria aperta e gestita da un egiziano che si era ossigenato i capelli per camuffarsi. Eravamo appena entrati che l’egizio biondo ci apostrofò con parole argute (cfr. De andré): “ahhhaahhh, voi italiani ed affamati, avere moneta?”. “Abbiamo un disco di Garbarek, te lo lasciamo in cambio di due pizze”, disse il gatto sicuro di fare l’affare. Il pizzaiolo lo guardò e disse: “Tu per chi avere preso me, per un crucco mangia patate, io essere nato sulle rive del Nolo, una zona del Nilo dove noleggiano i pedalò”. Mentre pensavo tra me e me: “anche questo volta si resta senza cena”, mi svegliai di soprassalto e andai verso il frigorifero. Un incubo o un sogno, ai posters l’ardua sentenza!
