“Echi di Scott Joplin, Fats Waller, Jelly Roll Morton, Erroll Garner, emergono nell’ascolto di questo disco”.
// di Marcello Marinelli //
Non avrebbero dovuto sparare a Jaki Byard l’11 febbraio del 1999, perché la regola tramandata da “illo tempore” ed esposta nei saloon dal vecchio west era “non sparate sul pianista”. E’ vero altresì che il grande Jaki Byard non è stato ucciso nell’esercizio delle sue funzioni ma mentre passeggiava nel quartiere del Queens dove risiedeva in circostanze mai chiarite, forse una tentata rapina o forse un proiettile vagante, non lo sapremo mai. L’hanno ritrovato morto ferito a morte da un colpo di pistola, ma un pianista non si uccide, si ascolta. Un altro tragico epilogo di un altro grande musicista jazz.
Non avrebbero dovuto sparare a Jaki Byard, ma negli States, il paese con più armi che persone, questo tragico epilogo non è né raro ne infrequente e fa parte della terribile statistica che recita “ucciso da ferite da armi da fuoco”, con movente e assassini sconosciuti. Questo disco l’ho ripescato dalla mia collezione e che ho risentito dopo tanto tempo perché ho ripreso a fa girare gli LP sui miei due piatti che colpevolmente avevo trascurato, preferendo il suono digitale delle piattaforme streaming, per pigrizia e fame di novità, ma, complice l’ingresso in questo gruppo, ho ripreso a sentire i Dischi e anche a ricomprarli, e per colpa vostra forse andrò fallito dopo aver tanto elargito all’industria discografica.

Questo disco di piano solo che all’epoca non mi fece impazzire, l’ho riscoperto e, tramite il suo ascolto, ho ripercorso musicalmente gli stili del piano jazz dai primordi, ovvero dal rag time, dalla musica di New Orleans, allo stride piano, di cui Jaki Byard omaggia in una sua rilettura personale e l’ho apprezzato. Echi di Scott Joplin, Fats Waller, Jelly Roll Morton, Erroll Garner, emergono nell’ascolto di questo disco e quello che allora mi sembrava un mix troppo variegato e dispersivo l’ho trovato, in questa circostanza, interessante e stimolante, il bello del riascolto. Il grande pianista collaboratore di personaggi del calibro di Charles Mingus e Eric Dolphy, tanto per fare due nomi altisonanti, dotato di una tecnica superlativa, padroneggiava tutta storia del pianismo jazz, qualcuno l’ha definito “pianismo enciclopedico”.
Mentre l’ascoltavo mi è venuto in mente per associazione libera la musica di Frank Zappa, che ovviamente non c’entra nulla con gli stilemi di Jaki Byard, ma nei cambiamenti repentini, nelle accelerazioni improvvise e nei cambi di registro, dal forte al pianissimo, dal lento al veloce, me l’ha ricordato. Un accostamento pazzo, senza alcun fondamento se non nelle reminiscenze extrasensoriali, che valgono per me stesso senza pretesa di assolutismo e senza alcuna velleità di spiegare l’inconscio musicale, anche perché è risaputo l’inconscio non si spiega, si manifesta. Allora dopo queste “considerazioni inattuali” e dopo aver finalmente goduto di questo album, non mi resta che ribadire: “Non avrebbero dovuto sparare a Jaki Byard l’11 febbraio del 1999”.