// di Francesco Cataldo Verrina //
Quando questo album fu dato alle stampe nel 1988 dalla Red Records, Fabio Morgera aveva appena 25 anni, eppure appariva già come un musicista maturo e consumato ed un compositore sopraffino alla ricerca di un’atmosfera pura, di uno stampo riconoscibile e di un suono unitario, sia pur diversificato nell’ispirazione ideale: tutte e sette le tracce dell’album recano la sua firma. Dopo un esordio fulminante con la band di Gaslini, Morgera aveva lasciato l’Italia per trasferirsi in USA, spinto da un forte interesse verso la comunità afro-americana al fine di conoscere le radici antropologiche del jazz.
Le sue parole sono emblematiche: “Esistono differenze fra cultura Black e cultura Europea, cioè fra una visione Afrocentrica e una Eurocentrica. Visto che l’Africa è la culla dell’Uomo e della civiltà, conviene scegliere la prima. Vanno però anche studiati bene i poliritmi di derivazione Afro, le claves, il blues ecc. Il colore della pelle è irrilevante”. Certamente New York non appariva come una città facile per chiunque giungesse da lontano, ma il giovane trombettista italiano riuscì, in breve tempo, a farsi apprezzare anche dall’altra parte dell’Oceano, divenendo membro del Groove Collective, formazione dai tratti musicali multi-etnici. Il suo approccio alla musica e alla composizione, in questo come in altri album che verranno, parte sempre da una forte convinzione, ossia evitare di guardare sempre il jazz attraverso la lente eurocentrica, senza capirne l’essenza.

Tutto ciò aiuta molto a tracciare le linee fondamentali della musica del Fabio Morgera Quintet in “Take One”, un sistema sonoro, dove il jazz s’innesta tra il piacere della melodia, attraverso una scrittura chiara ed aperta, e soluzioni ritmiche innovative, ma sempre in perfetto equilibrio. Ottimo il dialogo con il sassofonista George Garzone, il quale si cimenta sia al tenore che al soprano, coprendo la prima linea con il band-leader e diventando una sorta di comprimario di lusso del progetto. Il quintetto comprende anche il pianista Christian Jacob, il bassista Gil Bocle e Marcello Pillitteri alla batteria.
Registrato al Sound Studio di Boston nel dicembre del 1988, l’album si apre con “15A” un mid-range dal cadenzato ritmo funky e da sapore soulful, dove tromba e sax sembrano descrivere un viaggio esplorativo per le strade della metropoli; “Paperino”, intensifica la componente funkoide, soprattutto l’apporto ritmico dalle retrovie diventa più spinto ed articolato, quasi a voler alimentare le fughe improvvisative dei due strumenti a fiato, mentre il pianoforte fa da interludio con metronomico martellìo, tanto che il gioco melodico-armonico riporta alla mente certe atmosfere dei Jazz Messengers; “Your Soul”, è un’intesa ballata notturna che deambula flessuosa e con passo felpato, cercando di rubare l’anima alla notte, la tromba di Morgera scava nel profondo dei sentimenti, mentre Garzone, imbracciato il soprano gli fa da eco con punte lancinanti di soul; “Diana”, riprende lo schema sonoro iniziale e le luci della città si illuminano ancora a colpi di soul-jazz, con qualche accenno latino; Morgera e Garzone, superano gli schemi del post bob, alternandosi su terreno modale spinto, ma non rovinoso, anche il pianoforte di Jacob sembra zampillare, ma la quadratura melodica è garantita.
“Aphrodite” scivola come un fiume carsico, sotterraneo, dove le acque diventano presto cristalline attraverso il lento effluvio sonoro della tromba, che dispensa note levigate con eleganza e parsimonia, mentre il piano quasi appassionato fa da preambolo ad un piacevole movimento di alternanza tra i due fiati, i quali si susseguono con frasi brevissime; “Fourth Dimension”, riporta ancora in alto la pressione sonora con un battito scandito da un cuore metropolitano, che pulsa sotto ondate di sangue misto swing, ossigenato nel funk; “Leidseplain” è una lunga progressione melodico-armonica a più strati, con salite e discese, momenti molteplici in agro-dolce e con un crescendo dove gli strumentisti sembrano perdere i freni inibitori, in particolare l’avanza di Garzone sembra una fuga quasi a volo libero, perfino la sezione ritmica incalza con colpi decisi e martellati e con cambi di tempo a raffica, come per incanto il finale diventa una quiete dopo la tempesta.
Sarebbe un peccato, non aggiungere “Take One” alla vostra collezione; un album dallo spirito vitale, che traccia molto bene il profilo di un giovane trombettista, con la predisposizione a diventare un compositore di elevata statura, attraverso una corrispondenza ideale tra fonte d’ispirazione e piano attuativo del progetto sonoro.