//di Guido Michelone //
Gli Embryo sono una band tedesca fondata nel 1969 da Christian Burchard, di ardua collocazione estetica: all’inizio in patria e all’estero la si colloca nella generica categoria di pop music (che però sino al 1971-1972 significa rock impegnato o sperimentale), quindi si parla di jazzrock, poi di fusion e di recente world music: d’altronde nel corso di oltre mezzo secolo di attività ininterrotta, transitano negli Embryo circa quattrocento musicisti di ascendenza jazz, rock, folk, classica, sia tedeschi nazionali sia internazionali che lavorano più o meno assiduamente in gruppo, che ama porsi più come un collettivo che da gruppo chiuso.
Dal 2016, Marja Burchard, la bellissima figlia del fondatore della band, assume la direzione del progetto del padre Christian (1947-2018) già attivo quale jazzman durante i Sixties suonando via via pianoforte, trombone e vibrafono: in quel periodo compie una tournée con Mal Waldron e formato un trio jazz con il Edgar Hofmann (sax e violino) e Dieter Serfas (batteria), per passarew egli stesso alla batteria e formare appunto gli Embryo con Hofmann e Lothar Meid (;;;;), il quale però resta assai poco, giacché preferisce unirsi ai già celebri Amon Düül (forse la rock band più immaginifica di tutto il rock tedesco).
Nel frattempo, Christian Burchard raccoglie intorno a sé nuovi musicisti, sino a creare un nucleo con membri di lunga data quali Roman Bunka (chitarra, oud), Uve Müllrich (basso), Michael Wehmeyer (tastiere), Lothar Stahl (marimba, batteria) e Jens Pollheide (basso, flauto), mentre ragguardevole è la schiera di ospiti illustri, soprattutto jazzisti come Charlie Mariano, Mal Waldron, Marty Cook, oltre i rockmen Chris Karrer (Amon Düül) e Roland Schaeffer (Guru Guru). Nel 1976 insieme a Sparifankal e Ton Steine Scherben gli Embryo fondano l’etichetta April (poi Schneeball), instaurando anche uno stretto legame personale con un’altra band coinvolta, Missus Beastly del multistrumentista Chris Karrer. Da allora molti album degli Embryo nascono o derivano dalle lunghe tournée concertistiche nei continenti extraeuropei, dove spesso si esib iscono in kjam session con importanti musicisti locali, ad esempio Shoba Gurtu, TAS Mani, R.A. Ramamani, Mahmoud Gania e Okay Temiz; e proprio da un viaggio che porta il gruppo dalla Germania portava all’India scaturisce il film Vagabonden Karawane di Werner Penzel (1980).
Ma proprio nel 1980 Müllrich e Wehmeyer lasciano gli Embryo per organizzare una nuova band all’inizio chiamata Embryo’s Dissidenten e poi semplicemente Dissidenten, che riscuote molto successo. Nel 1986 e nel 1987 gli Embryo con Christian, Wehmeyer, Dieter Serfas e Gerald Hartwig si recano in Nigeria dove collaborano con Fela Anikulapo Kuti e con la Yoruba Dun Dun Orchestra. Nel 1996 a soli undici anni Marja appare per la prima volta assieme agli Embryo nelle vesti della precocissima polistrumentista (via via pianoforte, fisarmonica, marimba, vibrafono, batteria, trombone, organo, tastiera, santur) guadagnandosi ben presto il posto fisso nella band, che mantiene tuttora, assumendone poi la direzione, da quando, nell’estate 2016, Christian subisce un ictus da cui non si riprenderà più.
Benché vivano e lavorino ancora orgogliosi della propria indipendenza ‘alternativa’ gli Embryo, nel luglio 2008, ricevono un trofeo prestigioso come il Ruth 2008 German World Music Prize for Lifetime Achievement al TFF Rudolstadt. In Italia, invece, dagli anni Duemila è l’etichetta toscana Materiali Sonori a proporre molti dischi inediti, soprattutto dal vivo, cominciare dal 2019 con Undsonst und draussen – Viotho 1977 dove la formazione in quintetto straordinari assaggi di jazzrock europeo, ipnotici e originali, un po’ alla Frank Zappa. E nel 2022, in parallelo all’uscita degli antologici Everyday Day Is Okay (1980) e Zack Glük (1984) ecco Africa l’album registrato a Lagos (Nigeria) nel febbraio 1985 con una ventina di musicisti locali che direzionano il sound degli Embryo (qui in sestetto) verso improvvisazioni decisamente etniche a omaggiare l’Africa del titolo, in una sorta di world jazz ante litteram che diventa addirittura preveggente e immaginifica in quanto a radicalità.

In quest’intervista esclusiva con Marja Burchard, la musicista riflette sulla propria carriera artistica.
Marja ci parli del tuo primo ricordo che hai della musica in genere?
La musica era sempre lì. Anche quando ero ancora nel grembo di mia madre, ascoltavo molta musica. Appena nata, sono cresciuta nella musica, nel “cosmo embrionale”. La musica insomma faceva parte del mio ambiente. Probabilmente ho sviluppato una vera consapevolezza di tutto questo, soltanto quando ero un adolescente. Prima di allora era solo lì ed era una cosa ovvia che non avevo mai messo in dubbio o di cui ero a conoscenza. Era proprio come l’aria che respiravo.
Ma quando avviene in te la presa di coscienza del valore della musica?
Una delle prime esperienze consapevoli risale forse al 1990: quando gli Embryo erano in tournée in Giappone. Avevo cinque anni e ho vissuto i grandi festival estivi in Giappone. E le donne giapponesi che ballano attorno al tamburo gigante e cantano canzoni locali, e i percussionisti che suonano il tamburo gigante… Dovevo essere proprio nel mezzo e imparare i balli con loro e imparare a cantare quelle canzoni… Ancora oggi amo la musica classica giapponese, come la musica gagaku.
Cosa ti ha spinto a diventare una musicista?
Da un lato era il destino che fossi nata nel meraviglioso cosmo embrionale [gioco diparte intraducibile sugli Embryo quale forza cosmica, secondo l’estetica della kosmike muzik tipica del kraut rock]; dall’altro lato era la curiosità e da un altro lato ancora è il mio fuoco interiore, che gradualmente si è acceso sempre di più nel corso degli anni per quanto riguarda la musica. Quando ero bambina, cantavo tra me melodie inventate con linguaggi inventati e, poiché avevamo sempre degli strumenti in giro per casa, ho iniziato a suonarci sopra le mie fantasie in modo giocoso. All’epoca rimasi molto colpita dal fatto di poter trasferire melodie astratte su strumenti “reali”… E la cosa mi perseguita ancora oggi…
Chi sono i tuoi maestri in musica? E i musicisti rock o jazz?
Mio padre Christian Burchard e il pianista Mal Waldron sono i miei maestri nonché insegnanti, con i quali ho avuto il privilegio di conoscere e imparare. Altri maestri che mi hanno influenzato musicalmente sono Charles Mingus, Thelonious Monk, John Coltrane, Larry Young, Tony Williams, Sun Ra e molti molti altri. Ma anche le persone che ho conosciuto da adolescente mi hanno ispirato molto e hanno plasmato il mio percorso, come cari amici sloveni, ad esempio del gruppo “Sirom”. Tutti hanno ispirato me e la mia strada soprattutto nel senso di sentirmi libera nel mio sviluppo artistico e più o meno direttamente mi hanno insegnato che tutte le cose sono possibili senza averne paura. A ogni età della mia vita, altri e nuovi maestri sono venuti a ispirarmi. A volte è solo la foto che vedo di una vecchia che attraversa la strada…
Quale pensi sia il momento migliore della tua carriera di musicista?
Sta succedendo proprio ora e spero che durerà fino a quando non sarò raccolta da un altro cosmo.
Tra gli album jazz che hai registrato, quale ami di più?
Il nostro ultimo disco “Auf Auf” e quello che uscirà al più tardi l’anno prossimo. Anche le registrazioni in duo tra me e mio padre, che non sono state ancora pubblicate.
Come definiresti la tua musica?
Musica per chi la pensa diversamente. Musica curiosa e musica con tanta storia che risuona sempre, proprio come le nostre esperienze nelle nostre vite risuonano in ogni momento. Con le mie composizioni cerco di dipingere quadri. Quando le persone mi dicono che li ispira, sono molto felice. La musica è da condividere.
Quali idee, concetti o sentimenti associo alla musica jazz?
Poesia, libertà, creatività, spontaneità.
Come vedi il presente della musica jazz in generale?
Ho sempre pensato che il jazz non esistesse più. Che il jazz fossefinita… Ma non è vero. Il jazz è cambiato, ma è normale. Come tutto cambia. Ora ci sono giovani musicisti molto interessanti nella scena jazz che apprezzo molto. Gruppi di amici di Bruxelles, Vienna, Berlino o Monaco, ad esempio “Training”, “Koma Saxo”, “Shakes Stew”, “LBT”, “Karaba”, “Watoo” o “Wild Flower” dall’Inghilterra… Ci sono ancora grandi musicisti della scena precedente, come Gunter Hampel che sono molto stimolanti.
Secondo te, esiste un’identità di Embryo in quanto gruppo?
Sì, la libertà e l’apertura per suonare ciò che vogliamo. Non secondo regole che ci sono prescritte, ma secondo sentimenti e punti di vista che ci preoccupano e ci commuovono. Ritmi strani, versatilità, improvvisazione, apertura culturale… C’è stato fin dall’inizio, penso, e spero che non si allontani mai dagli Embryo.
Per te esistono connessioni dirette tra musica e politica?
Sì, naturalmente. Tutto è politico in un certo senso. Ogni azione e ogni apparenza. Ecco perché per noi è importante essere aperti. Aperto musicalmente, culturalmente e umanamente. Devi essere consapevole che la performance sul palco è sempre una dichiarazione. Non siamo soli al mondo e soprattutto al giorno d’oggi è importante dare segni con la musica che dobbiamo restare uniti culturalmente e umanamente. Rimanendo anche libera e flessibile.
Marja, quali sono i tuoi progetti musicali per il futuro?
Molti. Ora prepariamo un nuovo disco piastra per gli Embryo, dove ci sono nuovi brani con gong e canti, oltre i corni delle Alpi, molti strumenti a fiato e anche ospiti e amici dall’Etiopia e dall’Afghanistan. Non vedo davvero l’ora che arrivi il futuro e spero che la situazione politica ci consentirà di continuare a lungo.
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