// di Guido Michelone //
Torno di nuovo a scrivere su Ella Fitzgerald perché, a partire dal primo LP ufficiale Ella Sings Gershwin (1950) per la Decca, i suoi anni Cinquanta sono quelli dei molti grandi album ‘da collezionare’, soprattutto grazie al decennale contratto con l’etichetta Verve (1956-1966) a coronamento di una carriera già allora strepitosa, coronata altresì da collaborazioni illustri.
Infatti la lista dei cantanti (maschi e femmine), dei pianisti, dei trii, delle orchestre nel corso degli anni lavorano con Ella sia in maniera occasionale sia per lunghi periodi è quasi infinita: Count Basie, Duke Ellington, Roy Eldridge, Herb Ellis, Tommy Flanagan, Oscar Peterson, Frank Sinatra, Antonio Carlos Jobim, eccetera; trovandosi lei a contatto con musicisti eterogenei, canta e improvvisa senza mai un errore, un fiasco, una debacle o una defaillance, grazie a un livello performativo e a un incremento estetico di altezze superiori: il traguardo epocale si tocca in particolare quando è la Fitzgerald a condurre il gioco (si ascoltino al proposto i due vinili di standard con Louis Armstrong più quello su Porgy and Bess) ossia a invitare il partner a seguirla nell’avventura canora e a condividere, con strumentisti e parti orchestrali, un prezioso lavoro sulle dualismo interpretazione/improvvisazione attorno alle centinaia di brani cantati.
È insomma appagata da una vita che per lei, agli inizi, non è per niente facile: figlia di una famiglia disastrata (il padre fugge prima che lei nasca), dopo l’ospizio vive con una zia ad Harlem dove ‘goffa e incolta’ (come viene spregiativamente definita) impara a ballare, sino a farne lo scopo principale al punto da iscriversi, appena diciassettenne, ai famosi matinée dell’Apollo Theatre, equivalente delle serate del dilettante, che negli anni Venti-Trenta sono in voga ovunque.

Al momento dell’esibizione una crisi di nervi e un attacco di panico impediscono a Ella di danzare, ma viene invitata comunque a proseguire lanciandosi nella gara quale cantante grazie al presentatore, che ne intuisce le enormi potenzialità vocaliche. La vittoria giunge immediata e, stando alla ‘leggenda’, il caso vuole che ad ascoltarla ci sia pure il batterista Chick Webb che dirige un’agguerrita orchestra swing: Ella diventa non solo la jazz singer di una delle maggiori big bang, ma anche l’attrattiva principale dell’intero ensemble dal 1934 al 1939. Il destino vuole invece che il sodalizio tra Ella e Chick (forse sfociato anche in segreto clandestino, stando alle male lingue) quei cinque anni, perché Webb muore trentaquattrenne per una malattia congenita: e la Fitzgerald sarà la prima donna, nella storia del jazz, a subentrare a un uomo nella leadership di una formazione tutta maschile.
Ma i tempi cambiano e al divertente swing si oppone il rivoluzionario bebop, uno stile è una ‘filosofia’ dove il canto femminile trova una difficile collocazione: ma tu una volta ella non si smentisce in quanto impegno, passione, affidabilità, aggiornando e avvicinando la propria foné a un scat virtuosistico esagerato, in grado di salire o scendere di parecchie ottave (praticamente l’intera gamma timbrica con acuti eccezionali), nella combine perfetta con gli assolo lancinanti degli strumenti musicali. A sancire il passaggio dallo swing al bebop nel vocabolario jazzistico di Ella c’è senza dubbio il maggior contrabbassista dell’epoca, Ray Brown, che diventa il secondo sposo dal 1947 al 1953; il primo matrimonio (1941) subito annullato è con Benny Kornegay, uno spacciatore che ha grossi guai con la giustizia, mentre il terzo e ultimo sarà quello segreto con il norvegese Thor Einar Larsen di cui l’Agenzia Reuters dà notizia nel 1957 ma del quale non esistono conferme, nemmeno dalla diretta interessata.
Tornando invece a Brown, il nuovo sodale lavora con Charlie Parker e Dizzy Gillespie appunto per la diffusione del bebop, una musica complessa, all’inizio rifiutata da pubblico e critica, ma che proprio la Fitzgerald riesce a divulgare, contaminandola mediante stilemi più edulcorati e comunicativi. Anche grazie alla partecipazione al Jazz At The Philarmonic (1946) e alla novità del disco long-playing, quale medium congeniale per le nuove sonorità, Ella dà vita a un interessante connubio tra jazz moderno e classica canzone americana, interpretando i songbook dei grandi compositori (Cole Porter, George Gershwin, Irving Berlin, Rodgers & Hart, Duke Ellington, Harold Arlen, Jerome Kern e Johnny Mercer) con un personalissimo approccio che esalta l’umore jazzistico, il lato swingante e al contempo le linee pure della forma-canzone.
Alla fine se si vuole conoscere la Fiztgerald migliore, come detto all’inizio, non si può fare a meno dei tanti dischi incisi per la Verve, a cominciare ovviamente dai duetti con il maggior jazz singer (maschio) di tutti i tempi.