// di Francesco Cataldo Verrina //
Ambrose Akinmusire – “The Heart Emerges Glistening”, 2011
Ambrose Akinmusire (pronuncia Ah-kin-moo-sir-ee) appartiene a quella generazione di musicisti jazz che non ha trovato mai ostacoli ed impedimenti nei limiti ideomatici della tradizione, soprattutto estranea, per motivi anagrafici, alle guerre culturali degli anni ’80. Scoperto all’età di 19 anni dal sassofonista Steve Coleman, Ambrose Akinmusire debuttò con un primo album nel 2008, mentre, nel 2011, “The Heart Emerges Glistening” segnò il suo approdo in casa Blue Note.
La sessione emana un cordiale affiatamento, dove un rodato quintetto si comporta come una combriccola di amici di lunga data, distillando intriganti melodie soul, ricche di armonie, che abbracciano al contempo il fervore emotivo del free e la purezza del vecchio bop. La band dosa e mescola con consumato mestiere taglienti sonorità R&B, riffs hard bop e tortuosi temi post bop. Le loro progressioni sono spesso oblique ed imprevedibili ma accessibili, frutto di un audace espressionismo temperato da un’irresistibile bellezza formale. In apertura, “Confessions To My Unborn Daughter” svela subito i punti di forza del quintetto di Akinmusire, il quale introduce il pezzo a cappella, mentre i sodali entrano uno per uno, fino a quando la melodia non raggiunge un tono febbrile. Il sax di Walter Smith III e la tromba Akinmusire si alternano in furenti assoli, innescandosi a vicenda con disinvolta familiarità.

L’interazione con la sezione ritmica è vivace e stimolante: Gerald Clayton (pianoforte), Harish Raghavan (basso) e Justin Brown (batteria) modellano un mosaico infinitamente mutevole di accenti sonori, palpitazioni elastiche ed intelligenti interpolazioni armoniche, dilatando e contraendo i tempi attraverso variazioni fluide delle dinamiche tradizionali. L’empatia di Akinmusire con il tenorista Smith offre un’atmosfera aggiornata simile a quella del tandem Miles Davis / Wayne Shorter. Dopo l’entusiasmante apertura, la band squarcia l’aria con l’energico “Jaya”, prima di rivelare un lato più introspettivo con l’eterea “Henya” che dimostra la capacità del quintetto di ottenere lussureggianti dettagli da soundtrack cinematografico, con un ospite d’eccezione, il produttore Jason Moran su Fender Rhodes. I pezzi rimanenti virano e spaziano fra gli estremi: “Far But Few Between” e “The Walls of Lechuguilla” hanno una struttura inneggiante; “With Love” è una ballata infuocata; più meditativa risulta “Tear Stained Suicide Manifesto”, caratterizzata da un crescendo rapsodico; “My Name Is Oscar”, tributo a Oscar Grant, è un incisivo e ripetitivo parlato, quasi rap, sostenuto da un incessante rullo di tamburi; da manuale il perfetto duettare di Akinmusire e Clayton in “What’s New”, che mette in luce la posizione del giovane trombettista sulla linea di continuum del jazz, ossia di artista lungimirante ed innovativo ma con profonde radici ancorate alla tradizione.
Il virtuosismo di Akinmusire comprende numerosi approcci, dal lirico toccante alle manipolazioni tonali astratte. Non consueta la sua capacità di integrare senza fatica tecniche e stili molteplici, i quali vengono sistematicamente trasformati in asimmetriche architetture sonore, piegando, sfuocando, modellando e distorcendo le note tra una levigata consonanza e una spigolosa dissonanza. “The Heart Emerges Glistening” è una prova molto significativa per un giovane artista sicuramente da scoprire.
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Ambrose Akinmusire – On the Tender Spot of Every Calloused Moment”, 2020
Come riportato sulle note di copertina, c’è una frase scritta dal sassofonista Archie Shepp che dice tutto a proposito di Akinmusire: “Questo è il gatto!“, Anche Charlie Parker definiva i jazzsti vivaci e convincenti con questo termine, poi largamente diffuso. Ambrose Akinmusire è un musicista, intrigante, sornione, capace di fare le fusa con diversi stilemi collegabili al jazz contemporaneo.
E’ un segno dei tempi, ma sempre vincente, soprattutto nell’ambito della black music dove vige il concetto dei vasi comunicanti. Akinmusire è creativo, inquieto, imprevedibile: ogni sua uscita discografica mette in luce la cifra della sua fluorescente immaginazione, la necessità di una libertà espressiva, un’accuratezza inesauribile durante l’esposizione dal vivo e un approccio comunicazionale e prossemico verso il pubblico del tutto personale e seduttivo. Nel 2018, aveva pubblicato “Origami Harvest”, un tentativo di forte ibridazione sonora e ricco di contrasti, molto audace nel concept con un quartetto d’archi e un MC di provenienza hip-hop, combinando musica da camera classica e contemporanea, soul, jazz, groove e parole.

Ambrose Akinmusire – On the Tender Spot of Every Calloused Moment”, 2020
Come riportato sulle note di copertina, c’è una frase scritta dal sassofonista Archie Shepp che dice tutto a proposito di Akinmusire: “Questo è il gatto!“, Anche Charlie Parker definiva i jazzsti vivaci e convincenti con questo termine, poi largamente diffuso. Ambrose Akinmusire è un musicista, intrigante, sornione, capace di fare le fusa con diversi stilemi collegabili al jazz contemporaneo.
E’ un segno dei tempi, ma sempre vincente, soprattutto nell’ambito della black music dove vige il concetto dei vasi comunicanti. Akinmusire è creativo, inquieto, imprevedibile: ogni sua uscita discografica mette in luce la cifra della sua fluorescente immaginazione, la necessità di una libertà espressiva, un’accuratezza inesauribile durante l’esposizione dal vivo e un approccio comunicazionale e prossemico verso il pubblico del tutto personale e seduttivo. Nel 2018, aveva pubblicato “Origami Harvest”, un tentativo di forte ibridazione sonora e ricco di contrasti, molto audace nel concept con un quartetto d’archi e un MC di provenienza hip-hop, combinando musica da camera classica e contemporanea, soul, jazz, groove e parole.
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