// di Francesco Cataldo Verrina //
Bobby Watson – «Appointment in Milano», 1985
Tra tutti i «parkeriani», Bobby Watson è colui che riesce da sempre, insieme a pochi altri, ad imprimere ai suoi assoli un timbro, una «voce» ed un colore del tutto personale. In questo album raggiunge il climax in un brano che appare come una sorta di peana innalzato in onore del sommo Bird. L’assolo aria ferma, senza accompagnamento di Watson in «If Bird Could See Me Now», ossia «se Bird potesse vedermi adesso», non solo rappresenta un’interpretazione da case study o da manuale, ma rappresenta una sorta di manifesto programmatico del suo album capolavoro: «Appointment in Milano».
Fu proprio fra il 1983 ed il 1986, momento di stretta collaborazione con la Red Records, che Bob Watson fissò alcuni precisi punti di ancoraggio, definendo il proprio stile, al fine di ritagliarsi uno spazio preciso nell’ambito del jazz moderno, ben presto riconosciuto ed apprezzato Urbi et Orbi: veloce, profondo e con un innato senso della melodia, anche quando l’altoista cerca di eludere le regole del tradizionale hard-bop per praticare vie più angolari e spigolose. Come racconta il produttore Sergio Veschi: «Lo studio era stato prenotato per due giorni, ma «Appointment In Milano» venne registrato in un solo pomeriggio, dopo alcune tensioni mattutine. Praticamente tutte take one. Per occupare il tempo rimasto si decise di registrare degli standard a largo spettro che spaziassero all’interno di diversi modelli espressivi. A suo modo una summa del jazz».

Le parole di Veschi sono importanti per confermare l’idea che molti hanno di «Round Trip», l’album ricavato da questa seconda sessione di lavoro, che pur incentrato su alcuni standard, sia davvero il fratello gemello di «Appointment in Milano», dove si respira la stessa atmosfera e si percepisce la medesima tensione emotiva. Milano portò davvero bene a Bobby Watson, il quale liberò tutti i suoi demoni creativi, cimentandosi su alto e soprano. Erano anni di euforia, gli anni della «Milano da bere», così affiancato dall’Open Form Trio, un sezione ritmica italiana di tutto rispetto, formata dal pianista Piero Bassini, dal bassista Attilio Zanchi e dal batterista Giampiero Prina, il sassofonista assestò alla discografia mondiale il colpo più geniale della sua carriera, comunque costellata da infinite gemme preziose, tra cui possiamo includere altre uscite con la Red Records, su tutte l’impareggiabile «Love Remains» del 2009.
«Appointment In Milano» si sostanzia attraverso sei composizioni originali, di cui tre a firma Watson, ossia la title-track, «Ballando (Dancing)» e la già citata If Bird Could See Me Now», una quarta, l’intensa ballata «Always Missing You, di cui è co-autore insieme ad Attilio Zanchi, quest’ultimo firma anche la vivace e scanzonata «Funcalypso», mentre Piero Bassini è autore di «Watson’s Blues», una delle punte di diamante dell’album, insieme alla stessa «Appointment In Milano».
Registrato il 5 febbraio del 1985 allo studio Barigozzi di Milano, l’album coglie Bobby Watson ed i suoi sodali in momento di grazia e di perfetta intesa. «Appointment In Milano» è un’equilibrata combine di bop post-moderno con lievi influenze d’avanguardia e qualche scintilla di latinità, dove si verifica una non comune quadratura del cerchio; parliamo di un must have da aggiungere alla vostra collezione di dischi jazz, al reparto evergreen e senza tempo.

Bobby Watson & Open Form Trio – «Round Trip», 1987
«Round Trip» è sicuramente l’altro capolavoro «italiano» di Bobby Watson. Registrato al Barigozzi Studio, il giorno successivo alle sessioni di «Appointment in Milano» nel febbraio 1985 per la Red Records, Bobby Watson al sassofono contralto è affiancato da Piero Bassini al pianoforte, Attilio Zanchi al basso e Giampiero Prina alla batteria. Il titolo, «Round Trip», nasce quasi provocatoriamente da un pezzo di Ornette Coleman e mette in evidenza la voglia del sassofonista di adattare elementi innovativi e al suo modus operandi. Il risultato è a dir poco stupefacente. Watson suona con piglio spigoloso ed angolare, mostrandosi perfettamente a suo agio attraverso una serie di moduli espressivi, che dal classico bop sfiorano l’avanguardia, mentre i sodali suonano in modo nitido e coeso, rendendo l’album molto accessibile e di facile metabolizzazione.
Watson esegue una versione esplorativa di «Round Trip», ampliandone la dimensione percettiva e rendendola molto più lineare ed immediata rispetto all’originale di Ornette; per contro si mostra intrigante e morbido nelle ballate come «There Is No Greater Love», e «Blue iI Green», sofisticato e quasi aristocratico nel valzer jazz «Sweet Dreams»; soprattutto riesce ad essere sempre a suo agio, pur scandagliando diverse tipologie di jazz. Rinvigoriti e riportati a nuova vita due standard, quali «There Is No Greater Love» e «Ceora» di Lee Morgan, rielaborata con un andamento più veloce rispetto alle tante versioni disseminate lungo le strade del jazz. Uno dei momenti più esaltanti dell’album è certamente il componimento originale «All The Things Of Jo Maka», ispirato ad «All The Things You Are».
L’album illustra alla perfezione l’ampiezza del talento di Bobby Watson e la padronanza della materia in ogni circostanza e ad ogni latitudine. «Round Trip» non dovrebbe mancare in nessuna collezione jazz che si rispetti. Ineguagliabile la qualità sonora del vinile. Consigliatissimo!
