«La lucidità espositiva e compositiva del trombettista di Lugano ed il valore aggiunto di una band stellare fanno di questo disco un momento di massima espressione del jazz mainstream del terzo millennio».
// di Francesco Cataldo Verrina //
La produzione di dischi spesso accompagnati delle definizioni «new jazz» o «contemporary jazz», oggi, è alquanto aleatoria; il 90% delle recenti uscite sono solo delle pozioni sonore inclassificabili, talvolta tese a mischiare i vari elementi musicali in maniera caotica e per nulla vicini alla sintassi del jazz. Fra le tante pubblicazioni di recente conio non è facile distillare, nel marasma e nella confusione generale, della chicche di jazz in purezza o quantomeno prossime a questo linguaggio. «Long Waves» del Franco Amabrosetti Quintet è uno splendido album di autentico jazz, che coniuga passato e presente, guardando al futuro.
Franco Ambrosetti è un capitano di lungo corso che da più di una decina di lustri alterna la sua attività di jazzista a quella di imprenditore, avendo diretto per anni il Gruppo Industriale Ambrosetti, azienda che produce ruote in acciaio per veicoli e carrelli d’atterraggio per aerei. Trombettista e flicornista di vaglia, classe 1941, ha spesso condiviso, in passato, la sua passione (o attività) musicale con il padre Flavio, sassofonista che gli aveva trasferito l’amore per il jazz sin da piccolo. Molto rispettato sulla scena europea e mondiale con recensioni lusinghiere anche da parte di rinomati critici americani, Franco Ambrosetti ha all’attivo quasi una trentina di album come bandleader e svariate partecipazioni a progetti all-stars. Tra le sue collaborazioni più significative ci sono nomi importanti come Dexter Gordon, Cannonball Adderley, Michael Brecker, Mike Stern, Kenny Barron, Tommy Flanagan, Dave Holland e Phil Woods. Lusinghiera fu una dichiarazione di Miles.

Davis in un’intervista del 1987: «C’è un buon trombettista nella band di George Gruntz che ho ascoltato al Berlin Jazz Festival. Lui sa davvero suonare. Se dovessi scegliere un trombettista, sceglierei lui. Non sceglierei Wynton (Marsalis), né sceglierei Freddie (Hubbard) e Woody Shaw morto. Quindi sceglierei lui. Lui può suonare qualsiasi cosa. Mi piace». Oggi, all’età di 80 anni, Ambrosetti non ha per niente esaurito la vena compositiva e creativa; dalla sua fluida penna di autore evergreen sono germogliate alcune piccole gemma contenute in questo album come l’opener “Milonga”, un brano dal sapore argentino, una flessuosa ballata dall’incedere cadenzato ed elegante; la stessa «Silli’s Long Wave» è una composizione profonda e raffinata, a tratti imprevedibile e con una struttura non convenzionale. Il trombettista di Lugano è sostenuto nel progetto da quattro autorevoli esponenti del jazz mondiale: John Scofield alla chitarra, Uri Caine al piano, Scott Colley al basso e Jack DeJohnette alla batteria. Nell’album si respira un’atmosfera molto coesa e rilassata, caratterizzata da un forte senso di altruismo e collegialità, dove tutti gli attori sulla scena sono connessi quasi in maniera telepatica.
Ambrosetti gioca da protagonista, ma inter pares, sviluppando un tono pulito e raffinato e liberando nell’aria un inteso lirismo, mentre tutti i collaboratori pur mantenendo una spiccata personalità musicale, diventano propedeutici alle finalità del band-leader. Scofield secerne dalle sue stringhe un suono vivido e pungente al contempo, mentre i suoi assoli diventano quasi nuove propaggini sonore sviluppate sui suggerimenti del «capo»; dal canto suo, Caine è sempre attento allo sviluppo narrativo dei sodali, muovendosi in una dimensione fortemente creativa. Anche DeJohnette trova il suo momento di gloria, specie in «Try Again», quando, dopo la riproposizione del tema principale, offre un trattato di batteria da alta accademia del jazz moderno. Tra i brani più incisivi e riusciti dell’album c’è la classica «Old Folks», una ballata che esalta le caratteristiche dell’intero ensemble.
Ambrosetti tira fuori dal mantice un concentrato di passione e dolcezza, mentre Scofield s’inserisce con vibrante liricità, facendo da raccordo agli assoli del trombettista. Da segnalare una versione rigenerata di «On Green Dolphin Street», quasi restituita a nuova vita. «Silli’s Waltz» si snoda flessuosa su tappeto ritmico spalmato sull’asfalto rovente di una città californiana; l’andamento meditativo della tromba ed il fraseggio molto spaziato ricordano proprio il Miles Davis del periodo «cool». La conclusiva «One for the Kids», lo dice il titolo stesso, è un trastullo mid-range giocato tra funk e swing e con aria infantile, quasi divertita, da tutta la band.
«Long Waves» di Franco Ambrosetti Quintet, pubblicato nell’estate del 2109 per l’etichetta svizzera Unit Records è il ventottesimo album come leader di un artista che ha ancora tanto da raccontare, la cui verve creativa, nonostante il dato anagrafico, risulta costantemente in divenire, attraverso un tono caldo e brunito, linee che sprigionano suggestioni circolari dalla vorticosa bellezza, un orecchio teso al movimento e all’espansione sonora, e un pregevole senso di swing. La lucidità espositiva e compositiva del trombettista di Lugano ed il valore aggiunto di una band stellare fanno di questo disco un momento di massima espressione del jazz mainstream del terzo millennio, dove la tradizione costituisce una una base di partenza per guardare in avanti senza fughe dalla realtà, caotici intrugli ed eccentrici sperimentalismi.